Aldo Grasso e i paradossi del “politically correct” in materia di “sessismo” linguistico
La “pochezza” di certi giornalisti da “Padiglione” (leggi Aldo Grasso, Corrierone) a differenza di quella che lui attribuisce a “certi deputati ” non fa ridere . Anzi fa pena e resta il dubbio che anziché pochezza sia semplice opportunismo o, se si vuole, modesto allineamento al pensiero unico dominante, il cosiddetto politically correct. In ogni caso il “Padiglione” dedicato ad Augusta Montaruli sulle pagine del Corriere dimostra che se vuoi essere strapagato con veramente poco ti basta prendere di mira un deputato di destra che ha l’ardire di non pensarla come lorsignori sulla questione grammaticale uomo/donna e che chiede al presidente Fico (se fosse femmina rideremmo sul dubbio di come chiamarlo) di non volere essere apostrofata col termine “deputata” anziché il preferito “deputato”. Dice correttamente Augusta Montaruli che altrimenti occorrerebbe chiamare Camera dei deputati e delle deputate il ramo del parlamento presieduto da Fico. Apriti cielo. Per Aldo Grasso l’offesa va lavata se non col sangue almeno con l’inchiostro della sua penna rossa. E allora giù insulti, e persino (ma che c’entra?) una modesta vicenda giudiziaria per l’acquisto di un libro (un libro dicesi uno) che consente al progressista giornalista che mai vincerà il premio Pulitzer, di lanciarsi in offese para sessiste. Che farebbe invece Grasso se una eletta alla Camera protestasse ove qualcuno la chiamasse deputato e non deputata? Di sicuro la elogierebbe. E anziché accusarla di pochezza la porterebbe ad esempio. Potenza del politically correct che ci ricorda la canzone degli Amici del Vento “Trama Nera sol con te si fa carriera “. Consiglio finale a Grasso per il prossimo articolo: attacchi i telecronisti della nazionale femminile che si ostinano sui corner a definire “marcatura a uomo” quella che chiaramente è “marcatura a donna”. Almeno in quel caso la sua pochezza farebbe ridere.