Caos Procure, l’eurodeputato dem Roberti ora “scopre” la questione morale nel Pd
Prima si è candidato con il Pd alle Europee come se quel partito fosse la soluzione di tutti i mali, ora, l’ex-procuratore antimafia Franco Roberti, neo-eurodeputato appena eletto nelle file dem “scopre”, con non poco imbarazzo, che soprattutto il Pd ha la sua questione morale. E chiede, a gran voce, che il partito condanni, pubblicamente, i suoi esponenti coinvolti nella vicenda delle toghe sporche che sta scuotendo, dalle fondamenta, il palazzo del Csm e numerosi uffici giudiziari, come le Procure di Roma, Gela, Perugia e Napoli.
E dire che l’8 aprile scorso il neosegretario, Nicola Zingaretti, aveva annunciato la candidatura nel Pd dell’ex-procuratore antimafia con grande enfasi: «La lotta alle mafie e alla criminalità organizzata è una nostra priorità e con Roberti, nostro capolista nella circoscrizione Sud, avrà una nuova forza anche in Europa», aveva detto il segretario Pd dimenticando che anche la questione della corruzione dei politici e delle toghe dovrebbe essere altrettanto prioritaria.
Ma, poi, si sa, la gratitudine non è di questo mondo. E ora Roberti gli si è rivoltato contro costringendo il Pd ad un autodafè pubblico e imbarazzante, perdipiù sui Social.
«Chiedo alla libera informazione (sperando che esista ancora) di non perdere l’attenzione su questo scandalo – lancia il suo appello su Facebook il 71enne ex-procuratore nazionale antimafia già a capo della Procura di Salerno – Chiedo al Partito Democratico, finora silente – rincara la dose il magistrato che, buttata la toga alle ortiche, si è arruolato sotto le bandiere rosse del Nazareno e ora, da quella posizione, è costretto a fare i conti con il caso Palamara e il caos Csm – di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti in questa vicenda, i cui comportamenti diretti a manovrare sulla nomina del successore di Giuseppe Pignatone sono assolutamente certi, se vuole essere credibile nella sua proposta di rinnovamento e di difesa dello stato costituzionale di diritto dell’aggressione leghista».
«Nel 2014 il governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni. Quella sciagurata iniziativa – mena fendenti Roberti ai suoi compagni di strada – era palesemente dettata da un duplice interesse: liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti (in qualche caso inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica); tentare di influenzare le nuove nomine in favore di magistrati ritenuti (a torto o a ragione) più “sensibili” di alcuni loro arcigni predecessori verso il potere politico».
«Il disegno è almeno in parte riuscito – avverte Roberti – perché da allora, mentre il Csm affannava a coprire gli oltre mille posti direttivi oggetto della “decapitazione”, si scatenava la corsa selvaggia al controllo dei direttivi, specie delle Procure – Il caso Palamara ne è, dopo cinque anni, la prova tangibile, sebbene temo sia soltanto la punta dell’iceberg».