Conte fa l’intellettuale e si rifugia in Ungaretti. Ma il risultato è devastante
Contemplare la propria irrilevanza fa fare strani pensieri. Il premier Giuseppe Conte in versione letterato si rifugia in un verso di Ungaretti che più drammatico e di cattivo auspicio non si potrebbe. Intervistato dal Corriere della Sera, gli chiedono come vanno le cose nel governo e lui: «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». La morte dietro l’angolo, la minaccia, la caducità della vita dalla celebre poesia “Soldati” passa nei pensieri del premier alla situazione personale del governo che sente ancora “suo”. Vorrebbe crederlo e vorrebbe farlo credere. Malgrado tutto. Malgrado Salvini si comporti da vero premier e malgrado Di Maio risponda per le rime su tutto. Un duetto che tiene all’angolo Conte, che rivendica la scena tutta per sé.
Conte tenta di far vedere che decide lui
In questi giorni critici per il governo, Conte dal Vietnam tenta di far credere che ad essere determinante sia lui. Prima la “ramanzina” di pochi giorni fa ai due vicepremieri, con il richiamo a Mattarella, che rivelava la sua insicurezza. Ora rivela il suo «moderato ottimismo» e l’ «atteggiamento pragmatico e senza sconforto», alla guida del governo. Anche se il richiamo ad Ungaretti è drammatico, contraddittorio. Il premier Conte è confuso. E risponde al Corriere in mondo confuso. «Se ci sono i fatti, sono più determinato di prima». È un avviso ai due vicepremier? «Se non ci sono i fatti io sarò irremovibile, punto». Vuol dire che la riserva sulle dimissioni non è sciolta?, gli chiedono. «Sì, se non posso operare dovrò prenderne atto e porre il problema nelle sedi istituzionali consone». Insomma, sempre con il Quirinale nel cuore e nella mente: «Sarà chi ha la responsabilità di gestire le conseguenze di una crisi del genere a valutare le modalità migliori per procedere». Siamo io e Mattarella a decidere, fa capire.
La sagra dell’ovvietà
Poi alla domanda sulla possibile fine prematura del governo, rispolvera il solito refrain: «Non chiedetemi se si andrà a votare a settembre, ottobre, novembre o dicembre. Io non sono disposto a galleggiare, a vivacchiare dei mesi così. Ma ove mai sarà crisi, sarà la più trasparente della storia». Ne ha parlato con il capo dello Stato? «Con il presidente Mattarella non ci avventuriamo in scenari del genere, non è nel suo stile e, lo dico con modestia, neppure nel mio», è la risposta. Conte cerca di far dimenticare che fino a questo momento ha avuto un ruolo secondario, fino a quasi scomparire in campagna elettorale. Per cui ora vorrebbe evitare alemeno le figuracce: «Non voglio essere il primo premier italiano che subisce una procedura di infrazione». Poi fa il “sovranista”: «L’Italia è la mia patria e io mi sento un patriota. Non voglio che il mio Paese si sia assoggettato a questa procedura». Non è, giura, una questione personale. Ma qui non è più credibile. Apre al dialgo con l’Europa, poi parla di quesst’ultima come una «famiglia». Lo stato emotivo poco sereno pare evidente. Da Ungaretti all’eloquio patriottardo, fino all’invocazione alla famiglia: «Siamo una famiglia e immagino ci sia tutto l’agio di fronte a una contestazione di poter replicare, spiegare e convincere anche i più scettici». Altrimenti — è l’avviso a Juncker, Oettinger e Dombrovskis — «non siamo più in famiglia». Ma quando mai lo siamo stati…Conte, ci stai prendendo in giro?