E tre! Sea Watch provoca Salvini, rifiuta la Libia e inverte la rotta: punta su Lampedusa

13 Giu 2019 16:13 - di Martino Della Costa
La vicenda della nave Sea Watch approda ora al Csm che ha aperto una pratica a tutela del gip Alessandra Vella

Lo scontro tra la Sea Watch e il ministro dell’Interno Matteo Salvini si aggiorna al terzo round: e adesso la nave di una Ong tedesca battente bandiera olandese sfida direttamente il numero uno del Viminale e, sulla pelle dei migranti che ha caricato a bordo a largo delle coste libiche. Non a caso, dopo aver rifiutato un porto sicuro in Libia. Dopo aver sostato a largo di Tripoli e aver poi preso il largo verso la Tunisia, ora ha di nuovo cambiato rotta, sposandosi da ovest e dirigendosi verso nord: cioè puntando direttamente verso Lampedusa.

Sea Watch sfida Salvini: e punta il timone verso l’Italia

Tutto è cominciato ieri, quando cinquantadue migranti sono stati salvati davanti alle coste libiche dalla nave Sea Watch intervenendo in zona sar libica, anticipando addirittura – e di fatto neutralizzando – ogni possibilità d’azione della Guardia Costiera di Tripoli, che comunque era pronta ad intervenire e già in zona. «Il nostro equipaggio ha da poco concluso il soccorso di 52 persone da un gommone al largo della Libia, a circa 47 miglia di Zawiya. Ieri mattina, alle 9.53, l’aereo di ricognizione Colibri aveva avvistato l’imbarcazione, informando le autorità competenti e la nave», twitta l’Ong tedesca. Poi, non contenta, poco dopo, intervenendo a gamba tesa e di fatto delegittimando possibilità intervento e operato della guardia costiera libica, Sea Watch aggiunge: «La cosiddetta guardia costiera libica – dichiara l’Organizzazione in un altro tweet – successivamente comunicava di aver assunto il coordinamento del caso. Giunti sulla scena, priva di alcun assetto di soccorso, abbiamo proceduto al salvataggio come il diritto internazionale impone. I naufraghi sono ora a bordo della Sea Watch»… Ma a questo punto lo scontro con le autorità italiane si fa più duro ed entra nel merito degli obblighi e delle competenze…

Prima in rotta verso la Tunisia: poi punta il timone verso Lampedusa

E così, replicando e aggiornando sulla situazione, fonti del Viminale oggi in mattinata fanno sapere che finora sono stati inferte «inutili sofferenze per gli immigrati a bordo della SeaWatch: da ore – senza motivo – sono fermi in mezzo al Mediterraneo. La SeaWatch ha chiesto a Tripoli un Pos e ha ricevuto risposta positiva». Non solo: fino a poco fa, sempre secondo il Ministero dell’Interno, la nave con a bordo i migranti «ha appena modificato la rotta dirigendosi verso la Tunisia anziché verso Sud. Si trova a 69 miglia da Zarzis, a 48 da Tripoli, a 124 da Lampedusa e a 176 da Malta». E ancora: «C’è preoccupazione per le persone a bordo – spiegano le stesse fonti – tra cui alcuni bambini che potrebbero sbarcare al più presto come richiesto dalla stessa SeaWatch». Poi, l’inversione di rotta, con la nave della Ong tedesca diretta verso il porto dell’isola italiana… Il timone punta verso Lampedusa e alla provocazione finale diretta a Matteo Salvini il quale, a riguardo, prima ha replicato alla ong sostenendo prima che «la nave illegale, dopo aver imbarcato 52 immigrati in acque libiche ha rifiutato quanto offerto dalle autorità libiche, che hanno assegnato ufficialmente Tripoli come porto più vicino per lo sbarco», e aggiungendo subito dopo che: «Se la nave illegale Ong disubbidirà, mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente».

L’avvertimento di Salvini: chiaro e netto. Ora si attende di capire cosa farà la Sea Watch

Poi, tanto per essere più chiaro e ribadire la linea sicurezza varata dal Viminale che contempla, al primo punto, il controllo dell’immigrazione selvaggia con la chiusura dei porti, Salvini aggiunge quanto riportato, tra gli altri dal sito de Il Giornale: «Sappia (la Sea Watch ndr) che, qualora facesse rotta verso l’Italia, metterebbe a rischio l’incolumità delle persone a bordo, sottoponendole a un viaggio più lungo e disobbedendo alle indicazioni di chi coordina le operazioni di soccorso. Non vediamo l’ora di usare i nuovi strumenti del decreto Sicurezza Bis per impedire l’accesso alle nostre acque territoriali. È l’ennesima iniziativa di questo tipo da parte di SeaWatch, una vera e propria nave pirata a cui qualcuno consente di violare ripetutamente la legge». Insomma, Ong avvisata, nave salvata: il monito di Salvini è netto e chiaro e indirizzato direttamente agli integralisti dell’accoglienza sempre a caccia di gommoni in navigazione. Al momento, allora, resta solo da capire se, nelle prossime ore, la Sea Watch continuerà a puntare su Lampedusa o, ancora una volta, cambierà rotta…

Ecco perché la Sea Watch 3 deve rispettare le disposizioni di «divieto di ingresso e transito» nelle acque italiane

Del resto, tra le considerazioni introduttive della direttiva che preannunciano le disposizioni di «divieto di ingresso e transito» della Sea Watch 3 in acque territoriali italiane, viene spiegato che, secondo la Convenzione di Montego Bay, «un eventuale transito della nave nell’area marittima di competenza italiana in violazione delle disposizioni in materia di immigrazione si configurerebbe, necessariamente, quale passaggio “non inoffensivo”». Nel mirino la condotta della Sea Watch 3 che, in questo caso, ha rifiutato il porto di sbarco assegnato (Tripoli): «Anche in ragione del pregresso reiterato modus operandi – si sottolinea nella direttiva – può ragionevolmente evincersi l’intenzione dell’assetto navale di condurre attività analoghe alle precedenti condotte finalizzate al preordinato trasferimento in Italia di migranti in condizione di irregolarità, per le quali pendono procedimenti penali per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». La direttiva ricorda inoltre che l’attività si soccorso in mare «incentiva gli attraversamenti via mare» e «può determinare rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto trattasi nella totalità di cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni».

 

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