I politici a tavola: a Salvini piace il gelato, a Di Maio la pizza, Meloni mangia solo tricolore
Un anno fa, quando nasceva il governo Conte, Matteo Salvini assaggiava cioccolatini. Quest’anno si butta sul gelato al pistacchio. Se c’è un punto fermo nell’agenda del ministro dell’Interno, tra un vertice, un comizio e una diretta su Fb, è l’amore per il cibo. Immancabile nella routine del Capitano che giovedì, raccontano le cronache, a chi gli chiedeva perché non andasse a Palazzo Chigi, dove il premier Conte aveva convocato l’ennesimo Consiglio dei ministri, da Salvini puntualmente disertato, rispondeva così: “Vado a prendere un buon gelato al pistacchio”. Di dolci e ghiottonerie di ogni tipo il leader del Carroccio non è mai sazio. Ma anche pizza, bucatini, tortelli, arancini, polenta, cotolette non mancano mai nella sua variegata dieta, si fa per dire, quotidiana. Certo, non sarà proprio salutista, ma ricca di riferimenti al tricolore lo è sicuramente. Va in Sardegna? Eccolo dedicare raffiche di post alla gastronomia dell’isola: ricotta, dolcetti, gnocchetti sardi con funghi, zafferano, salsiccia. È in tour in Emilia? Sui social non manca la “cenetta dietetica (sic) emiliana” a base di gnocco fritto, coppa, salame, prosciutto e mortadella. Olé. La sua bacheca Facebook, dove il leader del Carroccio scrive con cadenza quotidiana il suo diario alimentare, è un trionfo di carboidrati, grassi, oli e sughi. Roba da far venire la pelle d’oca ai dietologi. E così, mentre lancia messaggi alla pancia del Paese, Salvini non fa mistero di come riempie la sua. Tra un “Buon appetito, amici” e una “colazione da campioni”, il Capitano va “all’attacco” di carbonara, pane e olio, ciambelle, pizza, cornetti, “zuppa inglese della mezzanotte”, pane e salame, pane e Nutella. E chi più ne ha più ne metta. Fa dediche ai fan: “Alla vostra salute, buona serata!”. Chiede pareri: “Mi volete bene anche se ingrasso??”, ma poi quando esagera con le bombe caloriche tira la cinghia. “Stasera mi sono preparato cavoli bolliti con olio e finocchi crudi, sempre con olio. Forse non sto bene” nota sornione in un selfie in cui posta, accanto, i cavoli.
Ma se Salvini è il re della tavola, lo stesso non può dirsi di Luigi Di Maio. Filiforme, forse persino emaciato, il capo politico dei Cinque Stelle, appena riconfermato tale dagli attivisti di Rousseau, non passa il tempo a tracimare pranzi, cene e spuntini. Anche se ogni tanto qualche sfizio se lo concede volentieri. Da buon campano, Di Maio non disdegna mai la pizza. Neanche quando, in missione istituzionale, vola a Pechino, assicurando ai suoi follower che “la pizza italiana è buonissima anche qui”, come scriveva su Instagram a settembre, mentre affondava coltello e forchetta in una bella margherita. Pietanza che il leader pentastellato ama gustare – ça va sans dire – soprattutto a Napoli. “Oettinger una così se la sogna” twittava davanti a una pizza formato extralarge, ironizzando contro il commissario europeo per il Bilancio e le risorse umane, probabilmente abituato, da buon tedesco, a mangiarla, sì, ma con i crauti. E ancora, Di Maio si concede volentieri piadine, parmigiano e pasta amatriciana. Piatti che più italici non si può. Come quelli che ha preparato con devozione per decenni, per Silvio Berlusconi, Michele Persechini, suo cuoco personale per una vita, quella dei fasti del berlusconismo. Berlusconi, da trent’anni, è fedele al classico menu tricolore, sempre lo stesso, che era solito proporre indistintamente durante cene di Stato e pranzi di Natale. Ah, che tempi, gli anni Novanta, quelli della Seconda Repubblica. Per non parlare della Prima, quando i leader della Dc e del Psi si abboffavano da Fortunato al Pantheon mentre quelli del Pci preferivano il ristorante Da Gino: dietro alla Camera, certo, ma appartato.
Nella Seconda Repubblica fu Massimo D’Alema, leader dell’allora Pds, che si dilettò ai fornelli in quello che divenne uno dei momenti più iconici dell’arte di combinare, comandando, cibo e potere, oltre che di Porta a Porta. Correva l’anno 1997 e Bruno Vespa mandò in onda un filmato in cui si vedeva D’Alema in grembiule che spadellava il risotto per il suo staff, i famosi lothar dalemiani Velardi e Rondolino. Altri tempi. Del resto, si sa, i leader della sinistra non hanno mai temuto il confronto con la bilancia. L’ex premier Matteo Renzi ingrassò parecchi chili quando era a palazzo Chigi e pedalate in bici e corsette di prima mattina non servirono a placare il suo appetito insaziabile. Solo due mesi fa l’ex segretario del Pd è riuscito a perdere 10 chili. E a festeggiare, “con i carboidrati”, il traguardo raggiunto. Zingaretti, invece, sembra affrontare ogni sfida a stomaco vuoto: per sopravvivere alla tornata elettorale, il segretario dem è andato avanti a spremute d’arancia, tradendo la dieta solo il giorno del voto con un diplomatico al bar Vanni, quello dei vip Rai, a piazza Mazzini. Una vera buongustaia è invece la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che su Instagram dedica spesso post alle “eccellenze italiane”, riuscendo persino a rimanere bipartisan tra dolce e salato: il gelato al pistacchio, la “mitica” torta paradiso, il “fantastico” babà napoletano, gli arancini siciliani, la focaccia pugliese, persino l’aglio bianco del Polesine. Tutti cibi mangiati contro “i vampiri di Bruxelles”, si capisce. Certo, saranno pur divisi su tutto, ma su una massima, non v’è dubbio, i nostri principali leader politici riescono ad andare d’amore e d’accordo: non si litiga in cucina perché – altrimenti – ogni pasto va in rovina. Comandare mangiando, però, è ancora meglio. Soddisfa il palato e tutto il resto.