Il sinallagma del saper scegliere per chi votare (e per chi non votare)
La vita comunitaria dovrebbe avere pure delle certezze: da una parte il corretto cittadino che concorre a pagare – con i tributi locali – tutta una serie di servizi che gli vengono resi, dall’altro le Amministrazioni Locali che adempiono puntualmente le proprie funzioni. Questo rapporto di causa-effetto, però, non pare essere affatto, soprattutto di questi tempi, così sinallagmatico, soprattutto in una Roma che appare sempre di più come una povera città, sommersa dai rifiuti e con le strade mal manutenute.
La totale mancanza di questo rapporto causa-effetto finisce per diventare assai deresponsabilizzante per gli amministratori locali e su di esso gioverà tenere una qualche considerazione di merito. Se da un punto di vista puramente teorico io pago una tassa perché tu mi renda un servizio efficace ed efficiente, questo rapporto sinallagmatico potrebbe pure dissolversi sotto la pressione di tematiche chiamiamole “esterne”: dove la cd.border line tra moralità (Mafia Capitale ne é un esempio), politica nazionale (dò un segnale a chi governa) e puntualità di un servizio locale correttamente reso (rifiuti, strade o servizi sociali), rischia di confondere tutto e tutti.
Con i risultati che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti a Roma: dove una classe amministrativa è stata catapultata sugli scranni del Campidoglio essendo rigonfia di incapaci dilettanti, a cominciare dal primo cittadino Virginia Raggi. Una pletora di dilettanti del tutto inconsapevole, ignorante e pure immorale (come altre vicende giudiziarie hanno mano a mano esplicitato), che è stata applaudita e portata in trionfo sotto l’effetto distorcente di quel fenomeno noto come Mafia-Capitale.
Un voto espresso sotto il fumo dell’oppio farà ricredere quelli che lo hanno manifestato? Non pare sia del tutto così, perché di un altro aspetto bisogna tenere in debito conto: la presunzione dell’elettore ignorante e presuntuoso che non si rende conto della sua incapacità di scernere e riconoscere il proprio errore.