Medicina spaziale, si studia un “letargo” per gli astronauti che andranno su Marte

22 Giu 2019 15:41 - di Giuseppe Vatinno

Riceviamo da Giuseppe Vatinno e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

Nel periodo d’oro dei viaggi spaziali e cioè gli anni ’60 del XX secolo e in ispecie lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11 del 1969 non c’era ragazzo che non sognasse di diventare astronauta. Già allora si pensava che dopo la Luna il prossimo obiettivo sarebbe stato il Pianeta Rosso e cioè Marte che era il protagonista di tanti romanzi e film di fantascienza. Poi si sa come è andata a finire. Prosaicamente la guerra fredda è finita ed è finita la competizione tra Usa e Urss per la conquista dello spazio e non solo la Luna è stata abbandonata, ma anche l’intero programma di esplorazione spaziale. Tuttavia da qualche anno si parla di nuovo e con sempre maggiore insistenza di Marte e, fatto importante, ora lo si fa entrando in dettagli tecnici che sembrano preludere ad un impegno fattivo.

Debora Angeloni che insegna biologia molecolare alla Scuola superiore sant’Anna di Pisa ha raccontato all’Ansa che il modo migliore per portare degli astronauti sul Pianeta Rosso è quello di “ibernarli”. Ma più che a una vera e propria ibernazione si pensa ad una sorta di “sonno profondo” che è poi una tecnica ben nota che utilizzano alcuni animali per andare in letargo l’inverno. Come è noto gli orsi utilizzano questa modalità per evitare di consumare troppe calorie riducendo al minimo il metabolismo, che dà conto del consumo energetico dell’organismo. Altro vantaggio sarebbe poi quello di ridurre al minimo anche i rifiuti e, dal punto di vista psicologico, evitare i conflitti da convivenza forzata in una navicella di piccole dimensioni. Qualche mese fa l’agenzia privata SpaceWorks ha ricevuto un finanziamento dalla Nasa per studiare questi aspetti della medicina spaziale. La tecnica dell’ibernazione permette di abbassare la temperatura da 37 a 5 gradi con una riduzione del 70% del metabolismo, come ha affermato il suo direttore John Bradford. Una data possibile è quella del 2033 e diverse agenzie spaziali mondiali ci stanno lavorando ma occorre conoscere bena come si modifica la fisiologia umana nello spazio. L’Angeloni fa notare infatti nella sua intervista come la microgravità abbia effetti su muscoli e ossa, ma anche sulle cellule umane che cambiano forma e quindi sono meno efficaci. Lo studio è stato effettuato su 5 milioni di cellule portate sulla stazione spaziale. Del resto questa è una conseguenza più che plausibile della permanenza di strutture biologiche nate ed evolute sotto l’influsso della gravità terrestre, che è molto più forte di quella sperimentabile sullo spazio.

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