Nel Decreto crescita una valanga di orrori linguistici: un “broccolo” bello e buono

14 Giu 2019 12:42 - di Mia Fenice

Nel diritto la forma è sostanza. E la forma del decreto crescita lascia a desiderare. Ne è fermamente convinto Paolo Armaroli che in un editoriale pubblicato dal Sole 24Ore ha esaminato punto per punto il decreto. Un provvedimento dove regnano sovrani i termini presi in prestito dall’inglese, il burocratese e il politichese.  Il decreto è composto da ben 51 articoli. In ogni articolo ci sono una miriade di commi. Ogni comma contiene parole in quantità industriali. Il tutto per la bellezza di 29 pagine della “Gazzetta Ufficiale”.

Almeno, scrive ironico Armaroli,  «il decreto fosse uscito dalla penna di Ugo Foscolo. Macché. Al punto che la benemerita Accademia della Crusca avrà parecchio da ridire». Il tutto confermato anche dal parere piuttosto severo espresso dal Comitato per la legislazione di Montecitorio, istituito allo scopo di rivedere le bucce alle leggi in itinere.

Decreto crescita, ecco gli articoli “sott’inchiesta”

Ed ecco i titoli sott’osservazione. Articolo 4: «Modifiche alla disciplina del Patent Box». «Dal momento che i destinatari delle norme siamo noi – scrive ancora Armaroli – non si poteva ricorrere alla lingua italiana? O non lo si è fatto perché la nostra Costituzione tutela le minoranze linguistiche ma non spende una parola sull’italiano come lingua ufficiale della Repubblica? Lo Statuto albertino, scritto in francese e all’istante tradotto in italiano, almeno stabiliva che in Parlamento valeva di norma la lingua di Dante». Articolo 5: «Rientro dei cervelli». Per Armaroli, sa di macelleria. Articolo 29: «Nuove imprese a tasso zero, Smart & Start e Digital Transformation». «Un broccolino – si legge ancora – bello e buono». L’articolo 30 parla (sic) di «efficientamento energetico». L’articolo 32 si propone di contrastare l’Italian sounding. «E per carità di Patria – scrive Armaroli – ci fermiamo qui. Ci ritroviamo in una dantesca selva legislativa oscura. Per la gioia di avvocati e magistrati, maestri in ermeneutica. Ma così va in malora quel bene prezioso che è la certezza del diritto. Spadroneggiano politichese e burocratese, mentre l’anglofilia regna sovrana. E in questa torre di Babele la nostra bella lingua si va sciogliendo come il sangue di San Gennaro. Un museo degli orrori linguistici, questo decreto. Fosse stato redatto in sanscrito, sarebbe più comprensibile».

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