Quando Almirante (Luigi) fu chiamato a recitare alla prima di Pirandello

20 Giu 2019 15:51 - di Massimo Pedroni

“Allora quella stessa dizione sillabata di Almirante … serve a svelare e a scandire nota per nota l’affanno d’infelici dal respiro corto ma dallo strazio profondo: tipico fra tutti il Padre”. Qualcuno dei nostri lettori, può essere rimasto spiazzato dalle due righe precedenti. L’Almirante citato è Luigi, attore teatrale, zio del segretario del Msi Giorgio. Zio, del leader della Destra italiana, in quanto fratello del di lui padre Mario. Quelli citati sono passaggi di Silvio D’Amico, figura eminente della critica e teoria teatrale di quel periodo. Per dare il rilievo dovuto, all’intervento del D’Amico, evidenziamo che tra le altre cose, fu fondatore nel 1936, grazie a una scelta illuminata delle autorità politiche dell’epoca, dell’Accademia nazionale di Arte drammatica. Istituzione a lui ancora oggi intitolata. Silvio D’Amico, vergò in occasione della prima rappresentazione dell’opera di Luigi Pirandello Sei personaggi in cerca d’autore, le frasi riportate. A Luigi Almirante era stato affidato il ruolo centrale del Padre. La prima dello spettacolo si tenne il 9 maggio del 1921, al Teatro Valle di Roma. Fu un fiasco clamoroso. Parte del pubblico cominciò a scandire, quasi fosse uno slogan, “manicomio – manicomio” rivolto all’autore. Leggende teatrali, tramandate di generazione in generazione di teatranti narrano di un Pirandello costretto a svicolare dalle uscite secondarie del Teatro Valle, per cercare di evitare contestazioni ulteriori. Dato il clima incandescente venutosi a creare in sala, si temeva l’eventualità di un aggressione fisica vera e propria. Quel testo era troppo “avanti”. In tanti rimasero completamenti spiazzati. A cominciare da un certo pubblico, ancora comodamente adagiato, nelle convenzioni del Teatro del secolo precedente. Esito più rassicurante, ebbero le repliche milanesi dei Sei personaggi tenutesi nel 1925. Il pugno nello stomaco nei “benpensanti” di ogni contrada comunque era arrivato a segno. L’allestimento del testo pirandelliano è unanimemente riconosciuto come punto di svolta rivoluzionario, della drammaturgia mondiale. Sei personaggi in cerca d’autore, è il primo testo della trilogia di “Teatro nel Teatro”, costituita da Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo.

Luigi Pirandello nacque a Girgenti (termine desueto con il quale veniva definito Agrigento) il 28 giugno 1867 terminò la sua esperienza terrena il 10 dicembre 1936 a Roma. Nella agiata famiglia di origine dello scrittore, vivissima era la tradizione risorgimentale tramandata dai suoi predecessori. La felice condizione economica della famiglia Pirandello, era dovuta allo sfruttamento di una solfatara di loro proprietà. Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio nell’attività estrattiva, del padre di Luigi, Stefano Pirandello. Nel 1894 andrà in sposa allo scrittore. Fu un matrimonio “combinato”. L’amore tra i coniugi, a dispetto di questa circostanza, sbocciò ugualmente. L’ improvviso crollo nella miniera, nella quale era stata investita parte della dote della Portulano, provocò, un rilevante dissesto nelle risorse economiche del nucleo familiare del drammaturgo. Il repentino e severo rovescio finanziario, lasciò tracce profonde e permanenti nell’equilibrio psichico della moglie dello scrittore. A un certo punto, la situazione degenerò a un tale livello che Pirandello fu costretto a farla internare in idonea struttura sanitaria. Una clinica sulla via Nomentana di Roma, nei pressi della loro residenza. Il primo riconoscimento di pubblico, di un certo rilievo, l’autore siciliano, contrariamente a quanto si può pensare, lo ottenne per un romanzo Il fu Mattia Pascal nel 1904. Opera creata, durante le lunghe nottate di assistenza alla moglie. La “quotidianità”, del rapporto con la follia, testimoniato dalla condizione della consorte, porterà il drammaturgo a lasciare nelle sue opere tracce evidenti su questo argomento. Un esempio per tutti Enrico IV. Dramma scritto per un grande attore di quegli anni Ruggero Ruggieri. In esso il protagonista, dopo essere stato volutamente fatto cadere da cavallo, da un rivale in amore, sceglierà di trarre a suo “vantaggio” le conseguenze del disarcionamento fingendosi pazzo. “Preferii restare pazzo e vivere con la più lucida coscienza la mia pazzia … pagliacci involontari quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere … il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia”. (Enrico IV, atto terzo). Pirandello risenti molto del pensiero del filosofo francese Henry Bergson, approfondendo egli stesso osservazioni teoriche e concettuali sul rapporto cruciale, ad avviso del drammaturgo tra “forma” e “vita”. L’essere umano che ci pone costantemente sotto gli occhi l’autore siciliano, è un Uomo dilaniato dall’inarrestabile e imprevedibile fluire della vita, che va fatalmente a cozzare con la “forma”, maschere di sopravvivenza che ciascuno di noi è costretto a indossare. Ciascuno vive costretto nella “maschera” forgiata dalla vita di relazione che ha. Gli spazi di fuga a disposizione per essere se stessi, nell’impostazione teorica dello scrittore sono poche, o la “follia” (es. Enrico IV) o il caso (Il fu Mattia Pascal). Pascal viene dato erroneamente per morto. Da qui la crisi d’identità del “fu Mattia”.

Nel 1934 Pirandello, meritatamente, fu assegnatario del Premio Nobel. Non si era mai pubblicamente interessato di politica ma, forse, volendo dare coronamento all’intenso sentimento risorgimentale respirato in casa, decise il 17 settembre del 1924, d’ inviare il seguente telegramma: “Eccellenza sento che questo è per me il momento più proprio per dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l’E.V. mi stima degno di entrare nel Partito nazionale Fascista pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera”. Destinatario del telegramma ovviamente Benito Mussolini. Un mese prima, era stato ritrovato il corpo di Giacomo Matteotti. Il futuro Premio Nobel operò la sua scelta in un momento estremamente difficile per il Governo allora in carica. Opzione politica, la sua, costantemente ribadita nei fatti. Firmando nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile. Accettando la nomina di Accademico d’Italia nel 1929. Donando nel 1935 la sua medaglia d’oro del Premio Nobel, in occasione della mobilitazione nazionale “Oro alla Patria”. Per non parlare delle interviste, rilasciate a organi di stampa internazionale, nelle quali, laddove necessario, l’illustre drammaturgo, non si tirava certo indietro nel chiarire, difendere, e mettere nella giusta luce le posizioni del Governo italiano. Fa tristezza, constatare che operatori culturali, tra i più celebrati e noti, di questi anni abbiano cercato, prendendo spunto da comportamenti dell’autore di Girgenti assolutamente marginali, e tutti da verificare,di tentare di avvalorare l’immagine di un Pirandello in rotta di collisione con il “Regime”. C’è una vita che testimonia il contrario. In modo inoppugnabile. Anche a fronte dei furori ideologici più pittoreschi. Comunque sia, ce lo ha insegnato Pirandello stesso, per tutti arriva “la sera” nella quale “… si recita a soggetto”. Un piccolo dubbio, pacato, corrosivo, ma Questa sera si recita a soggetto, vale anche a discapito della comprovata realtà storica? Be’ quando si muovono I giganti della montagna, non può andare che così. Suggerisce la “maschera “ dalla platea. Lei si che la sa lunga. Fidatevi.

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