«Quel giudice è un violento, mi aggredì. Mattarella non lo deve promuovere»

8 Giu 2019 14:15 - di Gabriele Alberti

Una vicenda che ha dell’incredibile. Lei è un giudice del Consiglio di Stato e ha denunciato il suo ex compagno (un altro giudice) per violenza e stalking perché – scrive nella documentazione fornita ai colleghi e riportata dal Fatto Quotidiano – l’avrebbe aggredita in più occasioni e ora potrebbe ritrovarselo addirittura compagno di scrivania nei medesimi uffici. Protagonista della vicenda una donna magistrato di circa 50 anni, che ha anche provato a bloccare al Cpga (consiglio di presidenza) la nomina del suo ex a giudice d’Appello del Consiglio di Stato dove lei stessa lavora e proprio con lo stesso ruolo. A giorni, dunque, potrebbe trovarsi spalla a spalla la persona che più teme, che la aggredita, minacciata ripetutamente. Magari proprio in occasione di un’Adunanza generale. Un’assurdità che va fermata. Quell’uomo deve essere bloccato. Non può fare il consigliere di Stato.

La donna: «Ho paura. Ha un’arma»

Non è proprio possibile. «Io sto male e ho paura, anche perché so che ha un’arma – dice all’Adnkronos la magistrato in servizio a palazzo Spada ormai da tempo – In qualità di presidente di un Tar ha il porto d’armi e in passato è capitato che girasse armato. Ho paura e non voglio arrendermi: impugnerò la delibera di nomina al Consiglio di Stato con ricorso straordinario al presidente della Repubblica e proprio a Mattarella faccio appello fin da ora perché non firmi il decreto. E’ l’unica cosa che mi dà una speranza di giustizia».

La donna è scossa alla sola idea che si possa procedere a quella nomina prestigiosa. «Questa vicenda mi ha toccato molto dal punto di vista personale ma anche dal punto di vista istituzionale perché sono un giudice – sottolinea sempre la donna – Per me il Consiglio di Stato era un baluardo dei diritti ma in questo caso invece le cose stanno andando diversamente. Non volevo rendere pubblica la mia vicenda ma a questo punto non ho scelta». L’ex convivente, chiamato in causa, interpellato dall’Adnkronos sulla denuncia nei suoi confronti, non se la sente di dire nulla. «Non ho niente da dichiarare – dice – Non ho ricevuto alcuna comunicazione della denuncia, la apprendo dalla stampa». I fatti contenuti nella denuncia risalgono al 13 ottobre scorso, ovviamente sono al momento ancora tutti da dimostrare e sono oggetto di un fascicolo aperto da poco.

La donna magistrato: «Mi colpì al volto»

Il racconto prosegue con particolari molto gravi. «Lui si è introdotto in casa mia di nascosto e mi ha aggredita – racconta la giudice – Mi aveva lasciato un paio di mesi prima ma poi ci aveva ripensato. Aveva cominciato a pedinarmi, a tempestarmi di email e messaggi e mi aveva chiesto più volte di tornare insieme ma non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere». Secondo la donna un sabato mattina l’ex si sarebbe introdotto in casa sua, approfittando della porta lasciata aperta per far uscire il cane in giardino: «Quando gli ho detto che doveva andarsene mi ha colpita al volto – ha raccontato – ed è andato via solo quando ho urlato per chiamare un mio collaboratore. Da quel giorno la mia vita è cambiata: ho conosciuto la paura». Poco dopo, racconta sempre la donna, sono arrivati i carabinieri. Stando ai documenti presentati nella denuncia, la magistrata è stata accompagnata in ambulanza in ospedale a Belcolle ed è stata inserita nell’iter previsto dal Codice rosa. Quindi ha presentato denuncia alla procura di Viterbo.  Stando alla ricostruzione della donna, nel corso della relazione, che si è conclusa ad agosto 2018, ci sarebbero stati anche altri due episodi di violenza: a gennaio e a maggio del 2014. Entrambe le volte la donna sarebbe finita al pronto soccorso ma senza sporgere denuncia.

«Ho chiesto che gli fosse tolta l’arma»

«Ad aprile scorso ho chiesto al segretariato generale del Consiglio di Stato che gli fosse tolta l’arma allegando la denuncia e il referto del pronto soccorso – racconta ancora la giudice – Poi ho saputo informalmente che aveva chiesto di essere trasferito al Consiglio di Stato come giudice di Appello e che la Commissione aveva dato parere favorevole». «Avendo molta fiducia nelle istituzioni – continua la giudice – ho messo da parte la mia privacy e ho mandato una pec al segretariato generale del Consiglio di Stato per avere notizie sul procedimento per il ritiro della pistola». Quindi la magistrata spiega di aver consegnato nelle mani del segretario del Consiglio di Presidenza 20 buste chiuse per i membri del consiglio contenenti la denuncia, il referto e una lettera. «Ho chiesto di considerare la mia vicenda, visto che io già sono un consigliere di Stato in servizio – spiega – Ho chiesto di essere tutelata, anche perché il reato di stalking si concretizza anche con la presenza sul posto di lavoro».

Secondo la donna, i componenti «avrebbero potuto rimandare la nomina in Commissione per approfondimenti, avrebbero potuto sentire la procura, sentire noi – sottolinea ancora la giudice – Insomma ricordo la vicenda del giudice Bellomo. In quel caso destituimmo un collega che era già in servizio, in questo caso si trattava di non nominare». «Alla fine ho ricevuto una lettera di una collega che mi informava della decisione del plenum e precisava che il presidente in apertura aveva garantito che lui sarebbe stato messo in una sezione che fa udienze in un giorno diverso dal mio».

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