Sea Watch, la capitana sfida il Capitano e dichiara “sicuro” il porto di Lampedusa
La capitana contro il Capitano. La sfida della Sea Watch, la nave della Ong tedesca, vira anche sul personale: e la donna al timone dell’imbarcazione piazzatasi a largo di Lampedusa, Carola Rackete, trentunenne tedesca dai lineamenti duri e dai capelli rasta, alla guida della nave che chiede insistentemente di approdare sull’isola (dopo aver rifiutato un porto sicuro a Tripoli e dopo aver evitato gli sbarchi a Tunisi e Malta) si dice pronta a traghettare i migranti che ha a bordo in Italia. Per lei, e lo ribadisce, «il porto sicuro è Lampedusa». Per lei non si retrocede neppure di una virgola…
La sfida della Sea Watch a Salvini: «Il porto sicuro per noi è Lampedusa»
«Restiamo a largo di Lampedusa e reiteriamo la richiesta di sbarco»: la Ong tedesca insiste attraverso il capitano della Sea Watch con tutta la portata provocatoria di atteggiamenti e dichiarazioni. E lo fa, ancora una volta, anche interloquendo con gli uomini della Guardia di Finanza che, nottetempo, hanno raggiunto l’imbarcazione e sono saliti a bordo per notificare il divieto di ingresso in acque italiane. Insiste, con veemenza social, anche attraverso un tweet in cui, invece di annunciare un passo indietro, la capitana Rackete fa sapere di non avere alcuna intenzione di invertire la rotta ma, al contrario, di essere decisa a puntare verso le nostre coste. Tanto che, al telefono con un giornalista de la Repubblica, ripresa tra gli altri in queste ore anche dal sito de Il Giornale, fa sapere che «Per noi Lampedusa è e rimane il porto sicuro più vicino al punto dove abbiamo effettuato il salvataggio». Una replica che suona come un avvertimento ostile, senza possibilità di mediazione di e dialogo, quella lanciata dalla capitana della Sea Watch, indirizzata a rispondere a quanto sotenuto e ribadito a più riprese nei giorni scorsi da Matteo Salvini che, sul caso, ha liquidato la questione dicendo: «Per me possono rimanere lì a galleggiare fino a Capodanno»…
Una provocazione nella provocazione: al ministro Salvini e al decreto sicurezza bis
Il terreno si sfida eleva al quadrato la provocazione al Viminale, attaccando non solo la decisione del ministro dell’Interno di chiudere il porto e negare l’attracco alla Sea Watch che ha rifiutato categoricamente altre possibilità di approdo, ma anche al decreto sicurezza bis appena approvato e immediatamente chiamato in causa. come riporta sempre il quotidiano milanese diretto da Sallusti in un ampio servizio dedicato al caso, infatti, «sabato scorso il governo, in modo compatto, ha firmato “il divieto di ingresso, transito e sosta alla nave Sea Watch 3 nelle acque italiane”. Il divieto è, poi, stato notificato dagli uomini della Guardia di Finanza alla comandante dell’imbarcazione. Ma l’ong tedesca, da sempre restia a rispettare le leggi (italiane e internazionali), ha subito fatto sapere, tramite la portavoce Giorgia Linardi, di non essere intenzionata a fare marcia indietro», forte del coro di appelli e richieste mossi tempestivamente dai soliti buonisti in spregio di codici e politica. Peccato che il ministro dell’Interno, allora, sia però deciso a far valere le ragioni del diritto, convinto che sia la Ong tedesca ad essere in torto e ad infrangere la legge, e non le autorità italiane che negano l’accesso nelle acque territoriale nazionali. Per Salvini, infatti, la Ong tedesca è doppiamente in torto, avendo disobbedito alle indicazioni della Guardia costiera libica che aveva indicato Tripoli come porto di sbarco per i migranti e andando contro il decreto Sicurezza bis approvato dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi, che sancisce il diritto a vietarne l’ingresso nelle acque italiane. E tra chi attacca al quadrato, e chi replica con doppie argomentazioni, l’equazione resta in sospeso e la soluzione al problema tutta ancora da acclarare.