Sea Watch, il Tar del Lazio boccia il ricorso dell’Ong. E la Procura di Agrigento apre la (solita) inchiesta
Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso della Sea Watch presentato la scorsa settimana in via d’urgenza dall’Organizzazione non governativa tedesca che si era rivolta al Tribunale Amministrativo Regionale per contestare il divieto di ingresso in acque territoriali e il “no allo sbarco” notificato dalle Fiamme Gialle a bordo della Sea Watch 3 in applicazione del decreto sicurezza bis.
E mentre la Procura di Agrigento apre la (solita) inchiesta sulla Sea Watch, volano gli stracci fra l’ong tedesca fondata alla fine del 2014 da Harald Höppner, commerciante di mobili e abiti etnici e il governo di Berlino “colpevole”, secondo l’organizzazione non governativa che, da mesi, sta impegnando l’Italia in un lungo braccio di ferro sull’immigrazione selvaggia, di ostacolare il trasferimento dei 43 clandestini, raccolti nei pressi delle coste libiche nei giorni scorsi, in uno degli oltre 50 Comuni della Germania che si sono offerti di ospitarli.
«Dopo oltre 6 giorni dal soccorso, #Sea Watch 3 è ancora bloccata con a bordo 43 naufraghi, di cui 6 donne e 3 minori non accompagnati, uno di soli 12 anni: hanno bisogno di sbarcare subito», scrive, su Twitter, Sea Watch Italy, pretendendo «con forza che si faciliti la disponibilità delle città tedesche pronte ad accoglierli».
Un portavoce dell’Ong, Ruben Neugebauer, aveva annunciato nelle ultime ore che oltre 50 comuni tedeschi avevano manifestato la propria disponibilità ad entrare a far parte di una specie di rete di accoglienza dei richiedenti asilo salvati nel Mediterraneo accusando che il trasferimento dei 43 clandestini è, al momento, ostacolato dal ministro di centrodestra, Horst Seehofer, esponente della Csu, l’Unione Cristiano-Sociale in Baviera, che si è detto contrario.
Per Seehofer il prerequisito resta «la partecipazione, più ampia possibile, degli Stati membri dell’Ue e l’assunzione del coordinamento da parte della Commissione europea». Ma, secondo il settimanale “Der Spiegel“, tuttavia, «non si esclude una soluzione».
L’11 giugno scorso la nave della Ong tedesca era andata a raccogliere 53 clandestini di fronte alle coste della Libia all’interno della zona Search and Rescue libica e, disattendendo gli ordini della guardia costiera di Tripoli, anziché sbarcare gli immigrati nel porto più vicino si era diretta verso l’Italia per tentare di mettere di nuovo in crisi il sistema di protezione dei confini del nostro paese dall’immigrazione clandestina.
Ma, in virtù del nuovo decreto sulla sicurezza del governo italiano, alla nave della Sea Watch era stato vietato l’ingresso nelle acque territoriali italiane e il natante era stato costretto a fermarsi a 16 miglia al largo di Lampedusa, in acque internazionali, salvo scaricare in porto 10 clandestini – tre minori, tre donne di cui due incinta e due accompagnatori, due uomini malati – due giorni fa dopo l’autorizzazione del governo italiano.
E ora la Procura di Agrigento ha aperto una nuova inchiesta, l’ennesima, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dopo lo sbarco dalla Sea Watch dei 10 clandestini a Lampedusa.
Il procuratore aggiunto Salvatore Vella, che coordina le indagini sull’immigrazione clandestina, ha aperto un fascicolo, per ora contro ignoti e gli uomini della Squadra mobile stanno ascoltando gli immigrati sbarcati a Lampedusa alla ricerca di eventuali scafisti.
Dal canto suo il Consiglio d’Europa, attraverso la bosniaca Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, legata a doppio filo alle organizzazioni non governative, fa la voce grossa lanciando un monito sugli aspetti umanitari e dei diritti umani agli Stati membri impegnati a contenere e a fronteggiare l’immigrazione selvaggia nel Mediterraneo: «Si è troppo incentrati sull’obiettivo di impedire ai rifugiati e ai migranti di raggiungere le coste europee e troppo poco sugli aspetti umanitari e dei diritti umani. Tale approccio ha conseguenze tragiche», lamenta la Mijatovic puntando il dito su «una serie di Stati» che «ha adottato norme, politiche e pratiche contrarie ai relativi obblighi giuridici di garantire efficaci operazioni di ricerca e soccorso, uno sbarco rapido e sicuro e la cura delle persone soccorse, nonché la prevenzione della tortura» impedendo «trattamenti inumani o degradanti».
«Sebbene abbiano il diritto di controllare i propri confini e di garantire la sicurezza – concede, bontà sua la bosniaca amica delle Ong – gli Stati hanno anche il dovere di proteggere efficacemente i diritti sanciti dalle normative marittime e in materia di diritti umani e rifugiati».
Nel documento, sventolato sotto il naso degli Stati membri, la Mijatovic elenca 35 raccomandazioni che hanno lo scopo di “aiutare” – mai parola è stata più fasulla – i governi a trovare il giusto equilibrio tra questi imperativi garantendo «un efficace coordinamento di ricerca e soccorso», lo «sbarco sicuro e tempestivo delle persone soccorse», la cooperazione «in modo efficiente con le ong», la prevenzione «delle violazioni dei diritti umani collaborando con paesi terzi» e, infine, l’indicazione di «rotte accessibili, sicure e legali verso l’Europa». Più che raccomandazioni, sembrano proprio diktat in nome della politica di accoglienza perseguita da George Soros.
Questo Consiglio di Europa che, non è un organo della UE ma, ormai un ferrovecchio che aveva la sua ragione di esistere quando c’era la guerra fredda e il muro di Berlino sarebbe ora di chiuderlo. E’ solo un ricettacolo di burocrati al soldo delle ong, di Soros e di altri svariati criminali politici, che questa bosniaca sia al soldo anche dello stato canaglia del qatar non sarebbe una meraviglia.