Avanza in Italia la cultura della morte: il Comitato di Bioetica dice sì al suicidio assistito
Avanza in Italia la cultura della morte: il Comitato Nazionale di Bioetica (Cnb) dice sì al suicidio assistito. Di questa pratica si è parlato un paio di anni fa in Italia a propostito della morte in una clinica svizzeradi dj Fabo. Fu aiutato a organizzare la trasferta nel Paese elvetico da Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni. Il (Cnb) afferma «che il valore della tutela della vita vada bilanciato con altri beni costituzionalmente rilevanti, quali l’autodeterminazione del paziente. Un bilanciamento che deve in particolare tenere conto condizioni e procedure di reale garanzia per la persona malata e per il medico». Netto il no della rappresentanza cattolica: «la difesa della vita deve essere affermata come un principio essenziale in bioetica quale che sia la fondazione filosofica/religiosa di tale valore. Il compito inderogabile del medico è il rispetto assoluto della vita dei pazienti. Agevolarne la morte segna una trasformazione inaccettabile del paradigma del curare e prendersi cura».
Si tratta certo di temi delicati e complessi, che richiamano una dimensione del dolore indicibile e inarrivabile, attorno alla quale non bisognerebbe fare clamore né tantomeno ingaggiare battaglie ideologiche. Ma i fautori del “diritto alla morte” ne fanno una questione di principio, come se l’Italia dovesse diventare un Paese “civile” solo se consentisse la soppressione delle persone che soffrono. A questi apologeti del suicidio assistito non balza in testa la pericolosità del principo di cui invocano il riconoscimento legale: una volta ammessa la liceità dell'”aiuto a morire” delle persone nella condizione di dj Fabo, cieco e tetraplegico (caso certo dolorosissimo), nulla vieta ad estenderne l’applicazione anche alle persone che decidono di morire solo perché depresse. E si tratterebbe di un’applicazione a dir poco inquietante, come peraltro avviene già da molti anni in Svizzera.
Fece discutere anni fa il suicidio assistito di Lucio Magri, uno storico esponente della sinistra italiana, che andò a morire in una clinica svizzera per il cronico stato di tristezza del quale cominciò a soffrire dopo la morte della moglie. Recentemente, ha colpito l’opinione pubblica il caso di Alessandra Giordano, 46 anni, insegnante di Paternò, vicino a Catania. Alessandra non era una malata terminare. Anche lei era solo depressa. Era una bella donna, ma tanto infelice. Non ha detto niente alla famiglia ed andata in una delle “cliniche delle morte” elvetiche. Sia lei sia Lucio Magri, se avessero incontrato persone capaci di dir loro le parole giuste, se magari avessero aspettato un po’ , oggi sarebbero ancora tra noi. Invece hanno incontrato gli angeli della morte.