«Pensavano solo a togliere i bambini alle famiglie»: parla la pentita di Bibbiano
Un clima da «caccia alle streghe» e una criminalizzazione delle famiglie in modo che fossero tolti loro i figli. È il «sistema Bibbiano» così come emerge – anche – dalle parole della “pentita” Cinzia Magrelli, assistente sociale indagata nell’ambito dell’inchiesta Angeli e Demoni, sebbene con una posizione ritenuta meno grave: per lei le autorità hanno concesso la revoca delle misure cautelari e la possibilità di tornare al lavoro. «È vero, ho modificato le relazioni ma l’ho fatto a causa delle pressioni che subivo dai miei superiori. Mi sono adagiata per del tempo, ma poi non ce la facevo più. Per questo ho chiesto il trasferimento», ha spiegato la donna.
La guerra alle famiglie
Magnarelli, in un colloquio con La Verità, ha spiegato che «laddove certe problematiche si sarebbero potute risolvere con il supporto alle famiglie, si prediligeva comunque la valorizzazione degli elementi che potevano portare a una richiesta di trasferimento del bambino a sede diversa da quella famigliare». Ricostruzione resa anche davanti al Gip Luca Ramponi e che conferma quanto già ampiamente appreso dall’opinione pubblica su questa storia drammatica di “ladri di bambini”: per soldi, per convinzioni ideologiche, per fare favori ad amici o ex amanti i bambini venivano portato via dalle loro famiglie, facendo leva su relazioni false o falsate che poi venivano accettate da tutta la filiera di controllo e gestione di un servizio così delicato.
Il “metodo Bibbiano”
«Il clima era quello un po’ della caccia alle streghe», ha detto ancora Magnarelli, spiegando che «nelle relazioni che sarebbero state mandate alla magistratura c’era sempre una predilezione per una visione del bambino scollegata dalla famiglia. Non veniva ritenuto equo e adatto il supporto all’interno della famiglia». Magnarelli ha poi ricostruito come si arrivava a queste relazioni, che lei stessa ha ammesso di aver «modificato»: «Io non avevo la possibilità di decidere. Avevo solo la possibilità di relazionare all’interno di una équipe che prevedeva la presenza del dirigente dei servizi sociali e poi il parere dello psicologo. Alla fine veniva fatta una relazione che comprendeva tutti i pareri e veniva mandata al Tribunale dei minori». «Il Tribunale di Bologna – ha aggiunto l’assistente sociale – decideva in base a queste relazioni. Aveva la possibilità di approfondire e sentire le parti, di valorizzare alcuni elementi anziché altri. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi». «Tutte le volte che veniva presentata la possibilità di un aiuto all’interno della famiglia, veniva cassata. Questo – ha concluso – era il metodo di intervento».