Quando Fermi scriveva di Einstein: «Si dà le arie da genio incompreso»

30 Lug 2019 16:19 - di Massimo Pedroni

“L’ambiente che ho conosciuto qui a Leiden è molto simpatico e piacevole. Ho conosciuto Einstein, è stato qui una ventina di giorni, persona molto simpatica benché porti il cappello a larga tesa per darsi l’aria da genio incompreso. E’ stato preso da una vivissima simpatia per me che non poteva fare a meno di dichiararmi ogni volta che mi incontrava (peccato che non sia un bella bimba)”. In questa corrispondenza privata, Enrico Fermi l’illustre fisico italiano, si riferisce a contesti di un soggiorno scientifico tenutosi nei primi anni venti del secolo scorso nella cittadina olandese di Leida. Periodo per lo scienziato particolarmente fruttuoso, che ebbe riscontro nella pubblicazione del testo “Sopra l’intensità delle righe multiple”. Da quanto sopra riportato, risulta evidente il suo temperamento garbatamente ironico e giocoso. Elemento questo, che potrebbe risultare stridente con lo stereotipo che comunemente si ha di uno scienziato.

Dall’unione di Alberto Fermi e Ida De Gattis, nacque il 29 settembre 1901 a Roma Enrico. Ultimo dei tre figli che i coniugi Fermi avevano avuto. Precocissimo manifestò passione e interesse per matematica, fisica e meccanica. Attitudine per queste discipline supportate dalla vivissima intelligenza mostrata dal giovane. Dati questi presupposti, gli fu suggerito di partecipare al concorso, per poter seguire i corsi universitari alla prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa. La prova d’ammissione era sullo sviluppo della traccia“Caratteri distintivi dei suoni e loro cause”. Il diciassettenne Enrico Fermi, si cimentò nella prova a giudizio della Commissione di ammissione, in modo sbalorditivo per acume e competenza. Risultò primo in graduatoria. Come naturale che fosse. Lo studioso, con le sue intuizioni pubblicate in atti o riviste scientifiche, metteva a “rumore” l’ambiente internazionale dei fisici, cominciò a tentare la carriera di docente universitario. I primi esiti in tal senso furono contradditori. Ricordiamo gli smacchi subiti, per l’assegnazione delle cattedre di Firenze e Cagliari. Amarezze compensate dall’assegnazione nell’autunno del 1926, della prima cattedra di Fisica teorica. Intorno al suo Magistero, raggruppò veri e propri talenti della Fisica, quali Franco Rasetti, Emilio Segre, Edoardo Amaldi, Ettore Maiorana solo per citarne alcuni. Nomina nella quale fu caldamente appoggiato dal Fisico e Ministro Orso Maria Corbino Senatore del Regno.

“Nel tardo pomeriggio ci si riuniva nel suo studio e la conversazione si trasformava in una lezione”, ebbe a scrivere Emilio Segre. Uno dei “ragazzi di Via Panisperna”. Lo studio era ovviamente quello di Fermi. L’attività del gruppo verteva principalmente sulla spettroscopia atomica e molecolare. Il 29 marzo 1929 Fermi è nominato dal Capo del Governo Benito Mussolini, membro della Reale Accademia d’Italia. Lo scienziato si iscrive al Partito Nazionale Fascista. Nel 1931 organizza un memorabile Congresso Internazionale di Fisica, che oltre al saluto portato ai congressisti da Benito Mussolini, vedrà la partecipazione dei più eminenti scienziati quali Marie Curie, Niels Bohr, Werner Heisenberg.

Nel 1938 a Fermi viene assegnato il Premio Nobel. Momento cruciale per le scelte esistenziali che dovrà operare lo scienziato. La moglie di Fermi era ebrea, elemento questo, che nella situazione politica interna, dietro pervicaci pressioni della Germania nazista, era diventata incompatibile. Con la famiglia lo scienziato decise di stabilirsi negli Stati Uniti. Allo scoppiò del secondo conflitto mondiale, Fermi fu coinvolto, con ruolo estremamente rilevante nel cosiddetto “Progetto Manhattan”. Progetto che come finalità aveva quello della costruzione della bomba atomica, e del suo conseguente utilizzo durante il corso del secondo conflitto mondiale. L’esito della effettiva portata distruttiva,della bomba una volta realizzata, non era chiara neanche agli scienziati partecipanti alla sua realizzazione.

Di certo si sapeva che avrebbe avuto una portata devastante senza precedenti. Per la prima volta, degli scienziati si trovavano a dover affrontare non solo problematiche inerenti alla realizzazione del Progetto Manhattan, ma a fronte della consapevolezza di ciò che si stava andando a realizzare, non si poteva che non trovarsi invischiati in laceranti questioni di ordine etico e morale. Ma questi dubbi affioranti nelle coscienze dei fisici partecipanti al Progetto, erano per forza di cose messi in un angolo, a fronte del voler vincere la guerra. L’ottenere per primi la disponibilità della bomba atomica, veniva considerato mezzo idoneo al raggiungimento del fine. Era diventata una corsa contro il tempo. Si temeva che la Germania potesse raggiungere lo stesso scopo prima. Teniamo presente che un Fisico del livello di Werner Heisenberg, era rimasto in territorio tedesco. Lacerazioni di rapporti umani fra colleghi vennero a determinarsi. Come quello fra Bohr e il suo ex allievo Heisenberg. Dissidio portato all’attenzione del più vasto pubblico, dal drammaturgo Michel Fryan con lo spettacolo teatrale “Copenaghen”. Successo internazionale, in Italia interpretato egregiamente da Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Giuliana Loiodice.

Una volta sconfitta la Germania, venivano a cadere presupposti essenziali alla realizzazione e uso della bomba. Era rimasto aperto solo il fronte giapponese. Le coscienze erano rimaste profondamente scosse. Szilard Leo, già redattore della lettera di Albert Einstein inviata al Presidente Roosevelt nella quale si sosteneva la necessità di dare vita al Progetto Manhattan per sconfiggere la Germania nutriva allo stato dei fatti dei ripensamenti.

Nel maggio 1945, a vittoria ottenuta, cambiava tutto. Le coscienze degli scienziati andarono in ebollizione. Fu costituita una Commissione, presieduta da James Franck scienziato tedesco di grande valore rifugiato negli Stati Uniti per motivi razziali. Compito della Commissione era quello di definire “cosa fare” della bomba atomica. Il rapporto finale della Commissione, nel quale si sconsigliava l’uso contro il Giappone suggerendone una dimostrazione incruenta, raccolse 53 firme di scienziati che avevano lavorato al Progetto Manhattan. Szilard tentò di fare giungere il documento al Presidente Truman. A Los Alamos non fu fatto circolare. Oppenheimer, Fermi, Lawrence e Compton non condivisero il rapporto Franck. Sostennero anzi che l’atomica dovesse essere usata contro il Giappone al più presto, usata su doppio bersaglio, lanciata senza preavviso sulla natura dell’arma. Così avvenne. Qualcuno pensa, noi tra questi, che la raccapricciante ecatombe di Hiroshima e Nagasaki, aveva necessità strategico militare presso che nulle. La terrificante dimostrazione di forza, era a servizio della determinazione dei nuovi assetti della gerarchia tra le potenze vincitrici. Nel 1949 Fermi tornò in Italia. Morì a Chicago il 29 novembre 1954 per un tumore allo stomaco. Come scienziato fu sempre un passo avanti. Cosa che in qualche modo doveva metterlo a disagio, tanto che ai suoi allievi era solito dire “Non siate mai primi cercate di essere secondi”.

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