L’Aquila, il sindaco Biondi: «L’Italia è divisa a metà, bisogna tornare a renderla Nazione»
Pubblichiamo l’intervento del sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi sul rapporto Svimez
L’antica, e probabilmente irrisolta, “questione meridionale” è cristallizzata in tutta la sua drammaticità nelle anticipazioni del rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno: lo studio dipinge un’Italia divisa a metà, con il centro-nord che inesorabilmente stacca il Sud del Paese, sul quale aleggia lo spettro della recessione. L’emigrazione di cittadini verso le regioni economicamente più affidabili della penisola o che scelgono di andare a cercare fortuna in Europa, il conseguente “buco” di tre milioni di posti lavoro che certifica la depressione occupazionale del centro-sud, la crisi dei consumi e degli investimenti, delineano un quadro a tinte fosche nel quale, nonostante tutto, emerge un piccolo barlume per l’Abruzzo.
Nel 2018 la nostra regione, rispetto alle sorelle meridionali, ha fatto registrare il più alto tasso di sviluppo, staccando anche Puglia e Sardegna, le uniche che hanno dato segnali incoraggianti. Un trend positivo che può crescere e incrementare a patto che la Regione, sfruttando a pieno anche le opportunità che arriveranno dai fondi europei, adotti e attui un piano di sviluppo che le consenta di agganciare la locomotiva del centro-nord, accrescendo una rete di infrastrutture e servizi in grado di renderla competitiva con le realtà territoriali più importanti del panorama nazionale e continentale. Ma, di contro, ogni singola comunità può e deve contribuire, per quanto possibile, a questo processo di evoluzione.
Nel rapporto annuale 2019 Istat è scritto che è necessario “affiancare all’analisi della struttura del tessuto produttivo nazionale quella del capitale territoriale, declinato in termini di dotazioni delle diverse realtà locali, nonché l’approfondimento delle relazioni tra pressioni antropiche e contesto ambientale”. La raccomandazione è nodale e, sopra ogni cosa, apre a una nuova prospettiva, individua una soluzione per il recupero dei disequilibri e auspica un progetto di sistema che le aree interne hanno già approcciato, immaginando un sodalizio sulla base di contesti, problematiche e opportunità. Quando introduco il tema delle specificità locali, strette intorno a un’unica “bandiera”, intendo spostare il baricentro dell’attenzione.
A mio avviso, oggi, – e lo dico non solo da sindaco, ma da sindaco di un capoluogo di regione e per giunta pienamente immerso nell’area centrale della Penisola – il tema del riequilibrio non è “orizzontale”, ma “verticale”. E coincide con l’area appenninica, quella che sì, davvero, spacca in due l’Italia, ma in maniera trasversale, sovrapponendo alla “questione meridionale” quella del divario tra costa e montagna. Dove il vulnus non è agricolo versus industriale – o almeno non solo quello – ma è nelle infrastrutture, nei collegamenti, nei servizi di prima necessità, nelle comunicazioni. In quei beni di civiltà, insomma, che sono il criterio di serenità dei popoli e, dunque, il presupposto della buona impresa, della creatività, della ricchezza. Il punto non è solo vivere al Sud, rincorrendo il Nord, e aspirare a qualcosa che naturalmente non ci appartiene. “Diventa te stesso” affermava Nietzsche. Ed è proprio nella sua sostanza che ognuno può e deve cogliere l’opportunità. Qui sta il divario, non nei contesti. Nei talenti e nella guida lungimirante delle piccole comunità che unite, fanno più che resistere. Allora, vedo la soluzione nel patto dei sindaci che fanno massa critica grazie alla similitudine delle proprio condizioni. La vedo nella scommessa su quattro pilastri strategici: cultura, turismo, innovazione e formazione. Ma fatti a modo nostro, calcando su quello che fino a oggi non siamo stati in grado di vedere perché troppo presi a rincorrere un centrometrista, pur gareggiando una maratona. Il servizio pubblico va inventato di nuovo. Deve consistere nella medicina di prossimità, per esempio. Nel potenziamento delle reti immateriali, ancora. Nel sostegno al turismo sostenibile, rispettoso e perfettamente integrato nei paesaggi. Si tratta di leggere nelle nostre storie, di comporle, garantire vivibilità e, infine, incentivare quello che siamo.
Oggi, all’Aquila, ci troviamo a scommettere sulla ricostruzione. Siamo stati costretti a fare col nostro dolore un’operazione di risveglio che è già diventata un esempio internazionale e, nel paradosso, sta diventando la nostra forza: è stato un modo per scoprirci fragili e per decidere di ritrovarci. Esiste un grandissimo patrimonio, fatto di peculiarità, beni materiali e immateriali, tradizioni e saperi che attendono solamente di essere valorizzati per rendere attrattiva quella parte dell’Italia “in salita” che non ha nulla da invidiare alla pianeggiante o costiera e che di questa deve essere un partner complementare, se non addirittura determinante. La sfida va affrontata in maniera unitaria e condivisa o le differenze delineate dallo Svimez saranno sempre più evidenti, con una linea di demarcazione che, poco alla volta, diventerà inestinguibile. La capacità di fare rete tra le istituzioni e le eccellenze presenti in ogni angolo d’Abruzzo sono il valore aggiunto di una terra che solo mettendo a sistema le sue migliori competenze potrà tenere il passo nei circuiti nazionali e internazionali. E tagliare il traguardo della corsa.