In ricordo dello studioso statunitense, il fascismo secondo A. James Gregor

3 Set 2019 13:16 - di Mario Bozzi Sentieri

Riceviamo da Mario Bozzi Sentieri e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

La scomparsa, avvenuta alcuni giorni or sono, di A. James Gregor, professore emerito dell’ Università di Berkeley, in Califormia, e grande storico del fascismo, richiama alla memoria una delle stagioni più feconde della storiografia dedicata al Ventennio, alle sue origini e alla sua essenza ideologica. Di quella stagione , gli Anni Sessanta/Settanta del Novecento, segnata dalle ricerche di Renzo De Felice sugli anni del “consenso”, e – tra gli altri – dalle analisi di Augusto De Noce, Ernst Nolte e George Mosse, Gregor fu un protagonista originale, capace di smontare, su basi scientifiche, il pensiero dominante, egemonizzato dalla cultura social-comunista, attraverso le sue analisi sull’ideologia del fascismo, titolo di un suo ampio saggio (“The Ideology of Fascism. The Rationale of Totalitarism”), pubblicato nel 1969. In controtendenza rispetto alle teorie correnti, che negavano ogni base razionale al fascismo, Gregor ricostruisce la teoria politica fascista, guardando soprattutto ai processi di revisione del marxismo, innescati dal nazionalismo, dal sindacalismo rivoluzionario, dagli studi di Vilfredo Pareto, Robert Michels, Gaetano Mosca, Gustave Le Bon, Georges Sorel e dall’attualismo di Giovanni Gentile.
Come ebbe a scrivere Giuseppe Prezzolini, presentando il saggio “L’ideologia del fascismo”, edito da “Il Borghese” nel 1974, l’opera di Gregor confermava come “Il ‘totalitarismo’ , sia comunista che fascista, non è stato l’opera di dementi o di malvagi (anche se vi sono stati fra comunisti e fra fascisti dei dementi e dei malvagi); ma bensì di pensatori politici che hanno avuto tanto una certa logica nella critica dello Stato liberale quanto una certa inventiva nel proporre (e talora attuare) istituzioni nuove”.
Su questa linea Gregor arriva a identificare nel fascismo “un tipo estremo di movimento rivoluzionario di massa”, qualificato dalla sua aspirazione “ad impegnare la totalità delle risorse umane e naturali di una comunità storica per lo sviluppo nazionale”, espressione di un “movimento di modernizzazione”, impegnato a dare “una possibile risposta ai problemi politici e sociali che accompagnano gli sforzi di una nazione sottosviluppata per uscire dalla sua situazione e conquistare un ‘posto al sole’”.
Con analisi del genere il docente di Berkeley non poteva non essere costretto a scontrarsi , in Italia, con il conformismo della nostra editoria, trovando, d’altro canto, attenzione e disponibilità d’ascolto da parte del mondo culturale non-allineato. L’editore Giovanni Volpe gli dà spazio. In occasione del centenario mussoliniano (1983) Gregor è tra i relatori del convegno su “l’Italia tra le due guerre”, con una prolusione dedicata a “Mussolini e la Storia”, nella quale – senza nulla concedere ai facili nostalgismi ma neppure alla retorica corrente – evidenzia il valore universale dell’esperienza fascista, esempio di un autoritarismo moderno, nel quale Mussolini appare come il capostipite di una ideologia “social-nazionalista” sviluppatasi ben oltre i confini italiani e ben al di là del Ventennio.
L’idea di fondo, su cui Gregor lavorerà per anni, è che il fascismo arrivò, nel dopoguerra a segnare la scena politica internazionale: dal cosiddetto “socialismo africano” al “socialismo arabo”, con personaggi del calibro di Gamal Abdel Nasser, fino a toccare l’Asia, con le politiche di modernizzazione ed industrializzazione di Taiwan, Singapore e della Corea del Sud, sotto l’egida di regimi autoritari, a guida carismatica, interessando persino l’esperienza della Cina post maoista.
Al termine di questo rapido excursus rimane il rammarico che molte delle opere di Gregor, peraltro pubblicate dai maggiori editori di letteratura accademica degli Stati Uniti (Princeton University Press, Stanford University Press, Yale University Press e California University Press) non abbiano trovato, nel nostro Paese, adeguata attenzione, segno di un conformismo duro a morire, rafforzatosi negli ultimi anni, che bene si sposa con un certo provincialismo nostrano. Per il valore e l’originalità delle analisi l’opera di Gregor resta comunque come una preziosa eredità a disposizione soprattutto delle giovani generazioni di studiosi e della cultura anticonformista: un’eredità da non disperdere, nel nome di uno studioso a “stelle e strisce” che della storia d’Italia aveva capito molto di più rispetto a certi paludati intellettuali nostrani.

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