La lotta al contante è inutile: sarà un incentivo a frodare il fisco. Ecco perché
Riceviamo da Andrea Migliavacca e volentieri pubblichiamo
Manette agli evasori, gridano tronfi. È il grido che riecheggia per le aule del Parlamento. Soprattutto da parte degli esponenti del Movimento Cinque stelle (oramai Partito a tutti gli effetti). E dal suo leader, per intendersi, Luigi Di Maio. Questa, dunque, è la formula magica per contrastare l’evasione fiscale. Il tintinnio delle manette dovrebbe indurre chi per gli Uffici finanziari è stato un fantasma, un non-contribuente, un’entità definibile solo in negativo: quel numero, cioè, che risulta per differenza dalle transazioni commerciali non tracciate, né tracciabili.
Il nostro sistema di polizia tributaria è uno dei più sofisticati al mondo, attraverso i software di cui dispone l’Agenzia delle Entrate, assieme a tutti gli altri uffici fiscali. E poiché si è rivelato incapace di stanare gli ectoplasmi che sottraggono la base imponibile all’imposizione, allora si è pensato di inasprire le già presenti sanzioni penali. Innalzando (non si sa ancora di quanto) la soglia di punibilità.
Lotta al contante, misura costosa
Aggredire l’uso del contante, provvedimento del Governo Monti, poi della Boschi, oggi è l’imperativo categorico; la misura salvifica che ci renderà migliori agli occhi dell’Europa, severa ed inesorabile. E che farà meglio digerire la manovra finanziaria. Nulla di nuovo, a parere di chi scrive, nulla di risolutivo. Semmai un incentivo all’evasione, o nella migliore delle ipotesi un costo aggiuntivo: le commissioni bancarie. Se la lotta al contante fosse stata una misura capace di contrastare l’evasione, avrebbe consentito la riviviscenza dei fantasmi-evasori. I quali, per contro, sono e rimarranno entità astratte, ab aeterno.
Gli effetti collaterali
C’era stato l’inascoltato lamento degli avvocati penalisti. Che hanno aspramente contrastato l’introduzione della legge sulla “prescrizione” (o meglio sull’imprescrittibilità dei reati) o della legge “spazzacorrotti”: altro abominio, rispetto alle quali, prima o poi, interverrà la Consulta e/o la Corte di Giustizia. Questo dovrebbe indurre il legislatore (sempre più miope) a valutare attentamente anche gli «effetti collaterali» di una tale misura.Il codice penale, ideato in un differente momento storico, aveva una sua organicità. E forse anche allora alcune sanzioni sarebbero state ritenute eccessive, dai coevi operatori del diritto, in relazione al bene violato. Le numerose leggi speciali che hanno introdotto nuovi reati si sono aggrappate all’impianto codicistico, spesso appesantendolo. Il codice di procedura, poi, nei suoi continui rimaneggiamenti ha enfatizzato la discrezione, ridimensionando la certezza.
È, dunque, legittimo avere il dubbio che l’inasprimento di una sanzione penale, che darebbe origine ad un procedimento senza fine, non sia la misura più efficace. E forse nemmeno la più opportuna. Risulta tuttavia vincente dal punto di vista elettorale, perché convince chi è tassato alla fonte. Occorrerebbe, invece, per incrementare il gettito, consentire a chi non è in condizione di poter pagare le imposte (quelle dichiarate) di ottenere il beneficio di una dilazione sostenibile. Misura, peraltro inspiegabilmente, prevista, quando il debito è divenuto cartella esattoriale. In quel caso, l’indulgenza sarebbe premiante.