
Mafia Capitale, se Salvini vuole il Campidoglio deve mostrare più coraggio
Passi pure per Virginia Raggi, che su Mafia capitale ha costruito la fortuna politica sua per la sfortuna dei romani. E lasciamo stare Nicola Morra, che ha scambiato l’Antimafia parlamentare per la curva sud delle procure. Peggio dei loro commenti sul verdetto della Cassazione che su quell’inchiesta ha ribaltato la sentenza d’appello c’è solo il liquidatorio «i giudici si mettessero d’accordo» pronunciato per l’occasione da Matteo Salvini in omaggio alla regola aurea della nuova politica: mai schierarsi quando non v’è certezza di atterrare nella pancia della gente. In quel caso, il manuale del perfetto leader 4.0 consiglia di passare per scemi piuttosto che andare alla guerra.
Da Salvini solo un imbarazzato commento sulla sentenza
E Salvini ha eseguito alla perfezione. In coerenza, del resto, con l’abolizione della prescrizione, l’abominio dello “spazzacorrotti” e ogni altro sussulto manettaro dei suoi vecchi compagni Cinquestelle, da lui avallato al tempo dell’idillio con Di Maio. Anche allora non per intima convinzione, ma solo in omaggio ai sondaggi e allo spirito del tempo. Come ha scritto il professor Cassese sul Corriere della Sera, siamo immersi nella palude della «politica fatta con singoli temi, senza una cornice». In pratica, la politica à la carte: il sondaggio ordina, il leader (in realtà un follower) apparecchia e porta in tavola. Valori, idee e tesi di riferimento sono roba d’altri tempi. Il presente è concentrato nella battutina imbarazzata del capo del primo partito italiano che si rifugia nel surreale per paura di non dirla giusta su un’inchiesta che, aldilà dei suoi innegabili meriti, ha sfregiato l’immagine di Roma agli occhi del mondo. E scusate se è poco.
La necessità dei tre gradi di giudizio
Eppure Salvini avrebbe potuto spedire la palla in tribuna con risposte d’ordinanza, tipo «non commento sentenze». Oppure ricorrendo al salomonico «nella fisiologia del processo non vi sono vincitori né vinti » o, infine, ribadendo «che il verdetto è la prova che tre gradi di giudizio sono necessari». Niente di trascendentale, insomma. E neanche di impopolare, per capirci. Invece, convinto di dover scegliere tra Beccaria e Davigo, ha azionato la modalità scemo di guerra. Ma bisogna accontentarsi: meglio del perfetto leader 4.0, il convento della politica oggi non passa.