Anche l’Fbi nel complotto democratico per non far vincere Donald Trump alle presidenziali nel 2016

20 Nov 2019 15:33 - di Domenico Bruni
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Russiagate, persino l’Fbi sabotò Donald Trump. L’11 dicembre verrà presentato alla commissione Giustizia del Senato il suo rapporto sui presunti abusi dell’Fbi ai danni della campagna elettorale di Donald Trump. Intanto l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, ha reso pubblico un altro rapporto, frutto anch’esso di un’indagine interna. Nel documento, si esamina la gestione da parte del Federal Bureau of Investigation degli informatori e del processo di verifica degli stessi, a partire dal 2011. Secondo l’audit, sono emersi diversi problemi, in particolare sono stati evidenziati ritardi nel processo di verifica dell’attendibilità delle informazioni ricavate. E falle nel processo di archiviazione delle informazioni ritenute più problematiche.

Dall’Fbi sperperati 42 mln di dollari

“I processi di verifica dell’Fbi per le fonti confidenziali, noto come validazione, non è risultato in linea con le linee guida dell’attorney general. E in particolare con riferimento alle fonti a lungo termine”, ha affermato Horowitz in un video che ha accompagnato la diffusione del rapporto. “Una gestione e una supervisione inefficace delle fonti confidenziali può mettere a rischio le operazioni dell’Fbi e danneggiare gli agenti dell’Fbi, le fonti, i soggetti di indagine e il pubblico”, ha aggiunto. L’Fbi, emerge dal documento, per pagare i suoi informatori ha speso una media di 42 milioni di dollari all’anno. E solo nel periodo compreso tra l’anno fiscale 2012 e quello 2018. Il numero complessivo di informatori sul libro paga del Bureau è coperto da omissis. Ma dal documento si evince che potrebbe trattarsi di migliaia di individui. L’Fbi deve verificare l’attendibilità di una fonte, prima di utilizzare le informazioni.

Gestione delle informazioni approssimativa

Horowitz ha anche rivelato delle incongruenze nei metodi di comunicazione tra gli agenti dell’Fbi e le loro fonti. Ad esempio, i dispositivi elettronici usati dagli agenti per comunicare con i loro informatori sono spesso gli stessi telefoni cellulari di servizio. Invece che dispositivi e piattaforme dotate di particolari sistemi di criptatura, che impediscano di ricondurre le comunicazioni all’Fbi. Altro problema rilevato è quello dell’accesso a informazioni ricavate da fonti confidenziali da parte di personale del buereau senza specifica autorizzazione. Nel rapporto si fanno 16 raccomandazioni per rendere più sicure le procedure, garantire l’adesione alle linee guida tracciate dal Dipartimento. Per “sviluppare e implementare” una nuova policy per l’uso di dispositivi elettronici ad hoc per comunicare con le fonti. Inoltre, Horowitz raccomanda che in futuro l’accesso alle fonti confidenziali non sia possibile a chi non abbia una specifica necessità di accesso a quelle specifiche informazioni.

L’Fbi utilizzò dossier inattendibili

Il rapporto diffuso nelle scorse ore terrorizza i media Usa democrat. Temono quello che l’ispettore generale del Dipartimento di Giustizia illustrerà l’11 dicembre al Senato. In quel documento, Horowitz esaminerà le procedure interne al Dipartimento e all’Fbi che hanno portato all’intercettazione della campagna elettorale di Trump nel 2016. In particolare, viene contestato l’uso disinvolto di un dossier non verificato e in parte inattendibile. Quello dell’ex agente segreto britannico Christopher Steel, per ottenere dal tribunale speciale Fisa l’autorizzazione a mettere sotto sorveglianza Carter Page, all’epoca consulente della campagna Trump. Allo scopo di ricavare eventuali prove di collusioni tra l’allora candidato repubblicano e la Russia. Che non ci sono mai state.

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