Berlino, solo 25 anni dopo la performance di Leo Valeriano sul Muro il sogno divenne realtà
Il Muro di Berlino, Antifaschistischer Schutzwall, Barriera di protezione antifascista, fu fatto costruire dai comunisti agli stessi berlinesi. Prima del 1961 c’era solo un filo spintato per impedire alla gente di fuggire. Le autorità della Germania Est corsero ai ripari per un motivo preciso. Dalla fine della guerra al 1961 oltre due milioni e mezzo di tedeschi erano fuggito nel mondo libero. Così, la notte del 13 agosto 1961, si iniziò la construzione del Muro. Di notte, d’estate. Per imedire ai berlinesi di scegliere e rimanere per sempre nella loro prigione. Come tutta la politica comunista, anche il Muro nacque da una menzogna. Dissero che volevano impedire l’ingresso nel paradiso comunista alle spie dell’Ovest. Ma volevano invece impedire con la forza alla gente di andare verso la libertà. Questo marca la differenza tra destra e sinistra. Neanche i regimi più autoritari di destra sognarono mai di costruire muri per impedire ai cittadini di uscire.
A Berlino i vopos uccisero oltre 200 civili
Oggi i muri si fanno, dove si fanno, per impedire ai fuorilegge di penetrare oltre i confini senza documenti. E non è una differenza da poco. Dal 1961 in poi non ricordiamo interventi politicamente corretti degli intellettuali di sinistra contro questo abominio. Né una parola di solidarietà si levò per tutti i morti ammazzati dalle guardie rosse. Morti ammazzati tra cui donne e bambini, che sognavano solo un futuro di libertà. Ma oggi la sinistra internazionale condanna chi fa i muri per proteggersi ma non condannava chi assassinava i cittadini che volevano fuggire. E non c’è dubbio che funzionò. Dal 1961 al 1989 solo cinquemila berlinesi riuscirono a raggiungere l’Occidente. I vopos (Volkspolizei, polizia del popolo), le guardie confinarie dell’Est, trucidavano chiunque cercasse di scavalcare il muro.
La tragedia tedesca ignorata dalla sinistra
Va detto che in quei decenni, almeno in Italia nessuno si occupava della tragedia di Berlino. Così come delle tragedie di Budapest, nel 1956, e di Praga, nel 1968. Per la verità, solo il Movimento Sociale Italiano alzò la sua voce per denunciare l’oppressione comunista. E lo fece in piazza, in parlamento, nei convegni e nei comizi. Ma inascoltato. Va anche detto che all’opinione pubblica giungeva poco. Oltre la Cortina di Ferro non trapelava quasi nulla. Così per anni abbiamo ignorato molte cose orribili. Come la creazione in Germania Est di una feroce e temibile organizzazione politica, Ministerium für Staatssicherheit, il ministero per la Sicurezza dello Stato, Stasi. Fu sostanzialmente un’organizzazione criminale dedita allo spionaggio e alla repressione, che ebbe decine di migliaia di persone arruolate. Avevano il compito di spiare, controllare e schedare i loro concittadini.
Oltre 200 civili assassinati sul muro
Ancora oggi non si conosce il numero degli assassinati mentre fuggivano. Molte fonti danno oltre 200 civili uccisi. Qualcuno lasciato a morire dissanguato nelle terra di nessuno, la striscia della morte. Ma neanche questo servì, soprattutto in Italia. Il Partito Comunista Italiano, servo del Pcus di Mosca, dal quale era finanziato, continuò ad avere consenso, meritandosi la poco onorevole palma di partito comunista più forte del mondo libero. Qui da noi, come oggi, intellettuali, giornalisti, artisti e la solita intellighentsia radical-chic, continuavano a sostenere che il comunismo propugnava l’eguaglianza. E i crimini d’oltrecortina non esistevano e comunque non interessavano loro.
Leo Valeriano andò a Berlino e cantò la libertà
Calò il silenzio sul muro. Ma ci corre l’obbligo di ricordare che un cabarettista, valente cantautore, ancorché sconosciuto, nel 1965 scrisse una drammatica canzone su quella vicenda. Era Leo Valeriano e la canzone si chiamava Berlin. Si consideri che la cosiddetta musica alternativa di destra era di là da venire, sarebbe esplosa solo alla fine degli anni Settanta, ma Valeriano ne fu certamente il precursore. Lui negli anni Sessanta lavorava al Bagaglino di Castellacci e Pingitore. Il 31 novembre 1965, Leo Valeriano andò al famoso Checkpoint Charlie, uno dei passaggi tra Berlino Est e Berlino Ovest, salì su una torretta, e cantò davanti ai vopos la sua struggente canzone Berlin. Nella canzone Leo Valeriano racconta di Peter Fechter, il giovane 18enne che fu colpito a morte dai Vopos il 17 agosto 1962. Proprio un anno dopo la costruzione del muro, fu lasciato morire dissanguato nella terra di nessuno, e alla cui tomba Valeriano andò a rendere omaggio.
Oggi a Berlino ci sono le croci che ricordano
Il muro era lungo ben 155 chilometri, alto 3,6 metri e profondo un metro e mezzo, formato da lastre di cemento armato rinforzato coperte da montanti di acciaio. C’erano poi oltre cento chilometri di fossati anticarro, 301 torrette di guardia con cecchini, 20 bunker e una strada illuminata lunga 180 chilometri che serviva per i continui pattugliamenti dei vopos. I punti di attraversamento per gli stranieri erano solo tre: Checkpoint Charlie, checkpoint Bravo e checkpoint Alpha. Ma di tutte queste vicende in Occidente trapelò ben poco: in Italia, i giornali si occupavano con fastidio di queste storie terribili, i partiti le nascondevano per non turbare i rapporti tra Est e Ovest. Solo il Msi, giova ripeterlo, instancabilmente denunciava quello che accadeva oltrecortina. Oggi ci sono tante croci, alle spalle della Porta di Brandenburgo, che ricordano i morti, quasi tutti giovanissimi, caduti per inseguire il loro sogno di libertà. Tra i fuggitivi, anche qualche soldato della Ddr e persino qualcuno dei vopos: famosa è la foto della guardia confinaria che salta la barriera e si rifugia all’Ovest. Neanche il famoso discorso di John Kennedy alla Porta di Brandenburgo (“Ich binn ein Berliner!”) il 26 giugno del 1963 ebbe seguito. Solo nell’agosto del 1989 l’Ungheria aprì i confini con la vicina Austria, e migliaia di tedeschi orientali e di altri cittadini del Paesi del Comecon si riversarono in Occidente.
“Su la sbarra!”. E scoppiò la libertà
“Su la sbarra!”, fu la storica frase di un ufficiale dei vopos quel 9 novembre. Le autorità non davano istruzioni, la gente si accalcava ai passaggi, e ai militari non rimase altro da fare. Il sogno divenne realtà. I fratelli dell’Est furono accolti con gioia dai fratelli dell’Ovest, e i bar vicino al muro iniziarono a offrire birra gratis per tutti. Per giorni le televisioni ci hanno mostrato le immagini dei giovani arrampicati sul muro che festeggiavano, cantavano e ballavano sulle rovine di una ideologia liberticida morta per sempre. Molti berlinesi, chiamati poi Mauerspechte, nelle settimane successive staccarono dei pezzi di muro per farne dei souvenir, che ancora oggi si possono trovare nei negozi, con tanto di certificazione di autenticità. Nel giugno 1990 300 vopos, coadiuvati da soldati federali, iniziarono le demolizione sistematica del muro, utilizzando decine tra bulldozer, ruspe, gru e camion. Un anno dopo la liberazione, nel novembre 1990, il muro era completamente abbattuto, tranne sei punti che vennero conservati come monumento e che oggi sono visitabili dai turisti. I più famosi sono quelli di Potsdamer Platz e quello di Bernauer Strasse, che nel 1999 è diventato il Memoriale del Muro di Berlino. Certo, gli intellettuali si concentravano, ieri come oggi, sugli orrori del fascismo più che su quelli del comunismo. Ma per la comunità della destra italiana la caduta del muro fu una rappresentazione fisica del fatto che avevamo sempre avuto ragione nel denunciare nel deserto certe verità.