Trenta (ma senza lode) bocciata all’esame per diventare 007: i Servizi scartarono l’ex-ministro
Trenta, ma senza lode. L’ex-ministra grillina della Difesa, Elisabetta Trenta, ha tentato di diventare 007. E ha fatto domanda di assunzione all’Aise, il Servizio Segreto estero. Ma è scivolata sull’ultimo colloquio. Quello psicoattitudianale. E il suo sogno è sfumato.
Lo rivela Il Giornale. Che, con un articolo di Luca Fazzo, ripercorre l’imbarazzante vicenda. Ricordando, in particolare, le relazioni fra la Trenta, i Servizi segreti italiani, la Link Campus University e il Movimento Cinque Stelle.
La Trenta è, infatti, laureata alla Link Campus University. L’Ateneo romano, fondato dall’ex-ministro dell’Interno, il Dc Vincenzo Scotti, è, da sempre, considerato la palestra di formazione dei Servizi Segreti italiani. Che da quell’ambiente pescano personale in abbondanza.
Ma è anche la «fucina dei politici del Movimento 5 Stelle» sottolinea Il Giornale. Ed è finito, in questi mesi, al centro dello scandalo del Russiagate.
Le ambizioni della Trenta stroncate dalla visita pasicoattitudinale
Insomma ce ne è abbastanza per porsi qualche domanda. E cercare di capire come sia andata la vicenda da aspirante 007 della Trenta. E come sia possibile che la grillina, stroncata da psicologi e psichiatri dei Servizi al colloquio psicoattitudinale, sia poi, invece, stata giudicata capace di guidare nientedimeno che il ministero della Difesa nel governo Conte 1.
Soprattutto ora, dopo che le rivelazioni sul ruolo della Link Campus University nel complotto anti-Trump del professor Jospeh Mifsud, docente dell’Istituto e ormai da tempo irreperibile, accendono i riflettori sull’Ateneo romano.
Era noto «che la Trenta avesse contatti nel mondo dell’intelligence per via familiare – ricorda Il Giornale – Suo marito è un ufficiale dell’Esercito che ha lavorato a lungo alle dipendente del generale Giovanni Caravelli, attualmente vicedirettore dell’Aise (l’ex-Sismi)».
«Ma evidentemente alla Trenta non bastava: voleva per se stessa un futuro da agente segreto in prima persona. Un atto interno all’Aise, che il Giornale ha a sua disposizione e di cui ha verificato l’autenticità, racconta che Elisabetta Trenta fece domanda di assunzione all’Aise all’epoca in cui gli 007 esteri erano guidati dal generale Alberto Manenti».
«La Trenta – prosegue l’articolo a firma di Luca Fazzo – riuscì a fare prendere in esame la sua candidatura, superò il primo scoglio. E quando era a un passo dall’arruolamento si scontrò sull’ostacolo più banale, il colloquio psico-attitudinale».
Di che si tratta? E’ l’esame cui tutte le aspiranti spie devono sottoporsi anche nel caso (come quello della Trenta) che non siano destinate ad attività operative sul campo o a infiltrazioni. «Si tratta – spiega il quotidiano – di verificare parlando con psicologi e psichiatri se i candidati abbiano la solidità caratteriale per reggere una professione comunque complessa».
Alla grillina il premio di consolazione dell’assunzione a tempo
E la Trenta? Viene bocciata.
«I documenti dell’Aise – rivela “Il Giornale” – dicono che alla dottoressa fu offerta a quel punto una sorta di premio di consolazione. L’assunzione come “articolo 7“. L’articolo prevede una assunzione a tempo, per seguire progetti specifici alle dipendenze dirette del capo dell’Agenzia».
Un’opportunità che, però, la Trenta rifiuta. E il motivo è presto spiegato. «Quando il Direttore cambia, gli “articoli 7” cessano automaticamente il servizio. E questo spiega perché la Trenta declina l’offerta: il suo referente sarebbe stato Manenti, il cui mandato alla testa dell’Aise era in scadenza. Appena il tempo di cominciare, e sarebbe rimasta a casa».
A stranezza si aggiunge stranezza.
Di lì a pochi mesi, ricorda Il Giornale, l’esponente grillina «si consolò a livelli ben più alti, venendo designata a ministro della Difesa, e incamerando, in questo modo, rapporti con i Servizi segreti ben più solidi di quelli che avrebbe avuto come semplice agente a tempo determinato».
Ma, a questo punto, la domanda è d’obbligo.
Come è possibile che una persona «che non ha superato l’esame psichico per una posizione di basso livello venga scelto come ministro della Difesa»?
La vicenda interseca il Russiagate e i rapporti con la Link Campus
La vicenda, tuttavia, come si è visto, finisce per intersecare anche altre questioni caldissime. Che, in questi mesi, stanno riempiendo le pagine dei giornali.
Intanto la questione del Russiagate con tutta la sua coda di indiscrezioni, polemiche e stranezze.
E il ruolo della Link Campus University nel giallo che sta rimbalzando da oltreoceano. O come il ruolo dei Servizi Segreti italiani e, in particolare, dell’ex-capo dell’intelligence, Alberto Manenti.
«Che era a capo dell’Aise quando i Servizi americani chiesero l’aiuto italiano per frenare la corsa alla presidenza di Donald Trump. – ricorda Il Giornale – E che, nei giorni scorsi, è stato indicato dal quotidiano La Verità, come il suggeritore della scomparsa di Mifsud», il professore al centro del Russiagate.
E’ stato sempre Manenti, nonostante sia in pensione, a incontrare il capo della Cia in occasione della sua ultima visita a Roma.
Il Giornale rispolvera anche un’altra vicenda connessa ai rapporti fra la Trenta e l’intelligence. Quella di un articolo del maggio scorso nel quale l’Espresso accusa Giuseppe Caputo – l’altro vicedirettore dell’Aise nominato dal governo Conte 1 – di essere tra i responsabili dell’acquisto di un software di spionaggio chiamato Exodus. Software che la Procura di Roma considera, in realtà, un pericoloso malware.
Reagisce con fastidio alle notizie del Giornale, Elisabetta Trenta.
E annuncia che procederà per tutelare il suo nome. Ma, aggiunge, «non voglio parlare di me stessa. Dico solo che è grave che nel Paese succedano queste cose».
«Trovo grave che documenti così delicati escano sulla stampa – si inalbera la Trenta – vuol dire che il Paese non è sicuro. Chiedo massima attenzione da parte di chi deve occuparsi della sicurezza».
Insomma, reagisce. Ma non smentisce la notizia pubblicata dal Giornale.
La Trenta ha mostrato limiti clamorosi, per cui la speranza è che in futuro abbia incarichi proporzionali alle sue capacità.
E’ risaputo che nella comunità dell’intelligenze si hanno certi benefici economici, per cui in diversi provano ad entrarci, a prescindere dalle loro reali potenzialità.