Il caso Berizzi e il pluralismo dell’informazione, comunicato del Cdr del Secolo d’Italia
27 Dic 2019 15:27 - di Il Comitato Di Redazione
In merito alla polemica emersa solo oggi e relativa all’articolo del direttore del Secolo d’Italia Francesco Storace dello scorso 26 novembre, illustrato con un fotomontaggio in cui il collega Paolo Berizzi di Repubblica appare imbavagliato e con alle spalle la scritta Brigate Rosse, il comitato di redazione intende precisare quanto segue:
- è facilmente intuibile che la foto si inserisce all’interno di una provocazione giornalistica, tesa a rilevare che la rubrica dello stesso Berizzi critica legittimamente episodi di razzismo e discriminazione ma lo fa a senso unico, ignorando sistematicamente l’odio e il fango che si riversano sulla destra. La foto riproduceva lo stesso trattamento subìto dal sovranista Matteo Salvini (anche lui ritratto col bavaglio e la sigla delle Br sullo sfondo). Quello stesso Salvini che la sinistra indica come il principale istigatore dell’odio che purtroppo avvelena l’attuale dibattito politico.
- ricordiamo che la testata che con un mese di ritardo ha sollevato il caso è la stessa dalle cui colonne, lo scorso ottobre, la leader di Fratelli d’Italia veniva etichettata come “reginetta di coattonia” e le venivano attribuite frasi mai pronunciate sui “rom da stanare casa per casa”. In quel caso il Secolo d’Italia si limitò a ribattere con le asprezze che sono consuete quando si alzano i toni del dibattito. Non ricordiamo interventi del sindacato nazionale dei giornalisti a difesa della giornalista Meloni.
- Un comunicato della FNSI definisce la foto e l’articolo di cui stiamo parlando un “atto di squadrismo e di incitamento all’odio”. Un’accusa che respingiamo fermamente: mai la nostra testata sarà complice di quelle strumentalizzazioni che tendono a riportarci indietro ad anni plumbei, anni in cui il nostro giornale subì tra l’altro gravi attentati senza che mai venissero individuati i responsabili. E ciò mentre gli “eskimi in redazione” si divertivano a invocare una “democratica” caccia al nero. Conosciamo bene i guasti di quel periodo e mai saremo complici del suo ritorno.
- Infine, ci lascia perplessi il passaggio del comunicato della FNSI nel quale si accusa la nostra testata di “spacciare per libertà di opinione e dissenso politico atti che si collocano fuori dai confini della Costituzione, della legge e delle carte dei doveri del giornalista”. Chi decide infatti cosa è fuori e cosa è dentro la Costituzione? Chi decide quando il dissenso politico diventa censurabile? Chi decide i limiti della libertà d’opinione? Per questo ci sono normative ben precise dinanzi alle quali non dovrebbero contare le amicizie, il far parte del giornalismo mainstream o la vicinanza a testate autorevoli. Le quali, per inciso, percepiscono fondi pubblici per il pluralismo dell’informazione esattamente come noi, pur spacciandosi per quotidiani indipendenti e senza dichiarare ai propri lettori, come il Secolo onestamente fa, lo schieramento di appartenenza e di riferimento.
Si indignano sempre a senso unico: sono loro che istigano all’odio e non il contrario!