La Russa: la storiella de “i compagni che sbagliano” ha ostacolato la lotta alle Brigate Rosse
La storia delle Brigate Rosse vista dagli invisibili. I carabinieri che, lontano dai riflettori, si sono battuti in prima nella lotta contro il terrorismo brigatista. È il filo rosso del libro di Emiliano Arrigo, Il coraggio tra le mani. Storia degli invisibili che hanno sconfitto le Brigate Rosse (Historica). Presentato alla sala Nassiriya di Palazzo Madama. «Uomini che hanno pagato un altro tributo. Se si pensa – dice Arrigo – che fra le loro fila si contano negli anni di piombo 600 morti e 3mila feriti. E i cui nomi sono sempre rimasti sconosciuti».
Brigate Rosse, La Russa contro “i compagni che sbagliano”
«Il contrasto al terrorismo sarebbe stato più efficace e rapido se una certa sottocultura di sinistra avesse smesso un po’ prima di parlare di “compagni che sbagliano”. E se l’estabishment italiano e internazionale non avesse dato la propria copertura al fenomeno». L’affondo è del vicepresidente del Senato, Ignazio La Russa, nelle vesti di “padrone di casa”. «Sarebbe stato più facile combattere le Brigate Rosse se fin dall’inizio fossero stati messi in campo i mezzi adeguati e le strutture necessarie».
Alla presentazione sono intervenuti il coautore ed ex operativo della Sezione Speciale Anticrimine Enzo Magrì, la senatrice Roberta Pinotti e l’ex generale dell’Arma dei carabinieri Mario Mori. A moderare il dibattito il direttore dell’Adnkronos Gian Marco Chiocci.
Sulle responsabilità della sinistra nella copertura culturale, la Pinotti tenta la strada dei distinguo. «Da parte del Pci vi fu sicuramente una presa di distanza e la condanna del fenomeno brigatista. Ma tale deferenza non vi fu però allo stesso modo da parte di tutto il mondo della cultura della sinistra. Che per molto tempo – ha ammesso l’esponente dem –considerò quello delle Br come l’ambiente dei “compagni che sbagliano”.
«Anni di rischi, di attese, di pedinamenti»
«Furono anni», ha ricordato Magrì, «di pedinamenti. Attese. Lavoro quotidiano estenuante e rischiosissimo». Tra i personaggi sospettati di avere legami con le Br – aggiunge – «ne pedinavamo uno che adesso è diventato molto famoso. Ma che a quei tempi frequentava persone davvero poco raccomandabili», svela Magrì. Ma il nome tra le pagine non compare e resta top secret anche durante la presentazione del volume.
«Per individuare il numero maggiore possibile di componenti di un gruppo si sceglieva di non arrestarli tutti, ma di lasciarne fuori qualcuno e di controllarlo per arrivare ai capi dell’organizzazione. Una volta – racconta Mori – individuammo 39 brigatisti e ne prendemmo 35. Il magistrato mi disse: “Va bene, questi domani potrebbero sparare a me o a lei. Ma facciamo come dice. Un metodo che vale sempre», aggiunge Mori alludendo alle polemiche seguite alle indagini per l’individuazione del covo del capo della mafia Totò Riina.
Un libro che rende giustizia agli invisibili
A giudizio di Chiocci «il libro di Arrigo colma una lacuna. Perché dà voce e spazio a chi si è “sporcato le mani” con una vita di sacrifici e fatica. E ha vissuto in clandestinità proprio come i brigatisti”. Il volume racconta di eroi silenziosi di cui non si parla mai, se non quando uno di loro muore in servizio. Questo libro in qualche modo rende loro giustizia».