Morgana è la nuova icona femminista. Strega, maliarda e assetata di potere
Morgana è il titolo del nuovo libro di Michela Murgia (nella foto mentre partecipa al Sardegna Pride). Un libro scritto insieme con Chiara Tagliaferri (Mondadori). Morgana sarebbe l’idealtipo della donna indipendente, nemica dei maschi, aspirante leader, indifferente al bene e al male, trasgressiva rispetto a ogni regola. Non lo diciamo noi. Sono proprio le autrici a dirlo, specificando che anche un uomo può essere Morgana. “Morgana la maggior parte delle volte significa anche strano, difficile, non convenzionale, rivoluzionario, misterioso, persino stronzo”. Appunto.
Val la pena ricordare chi era allora Morgana, la sorellastra di re Artù che appare nella Vita Merlini di Goffredo di Monmouth (XII secolo). Divisa tra fata e strega, Morgana era l’apprendista di mago Merlino, una donna colta che s’intendeva di pratiche di divinazione, astronomia e medicina. Magnetica, intrigante, seducente, si unì al fratellastro, dando alla luce Mordred: il figlio dell’incesto. Innamorata di Lancillotto usa tutto il suo sapere, la sua magia e le sue pozioni per ottenere l’amore del cavaliere, ma sempre senza successo poichè il cuore del prode guerriero è rivolto solo a Ginevra. “Morgana è il caos, la sua mente è una devastazione”, così la definisce re Artù. Deriva il suo nome dalla dea celtica Morrigan, divinità della guerra e della morte.
Un simbolo ambiguo, sicuramente poco luminoso, scelto dalle autrici del neofemminismo cattivista perché tra tutte le streghe possibili è quella meno utilizzata. Forse la più antipatica. Sicuramente la meno innocua. Il libro racchiude dieci ritratti di altrettante Morgane, con accostamenti arditi: santa Caterina da Siena accostata alla pornostar Moana Pozzi. Moira Orfei e le sorelle Bronte. Grace Jones e Marina Abramovic. La pattinatrice Tonya Harding e l’architetto Zaha Hadid. E ancora la stilista Vivienne Westwood e l’attrice Shirley Temple.
In pratica se una non si riconosce nel simbolo del caos, nell’eversiva Morgana, non può essere femminista, cioè non può lottare per i diritti delle donne. Bisogna essere scandalose, insofferenti alle regole, far prevalere l’elemento anarchico: solo così si entra nel regno illusorio delle “principesse” da imitare. Siamo ancora una volta, dunque, nel solco del femminismo elitario e non inclusivo. Quello che parla a pochissime e che tiene fuori le altre, le normali, annullate nel ruolo di mediocri, assoggettate, che hanno solo bisogno di essere liberate dalla Morgana di turno. Una finzione letteraria, neanche tanto originale. Che non convinceva prima e non convince adesso. Anche perché alle astruserie di Michela Murgia si continua a preferire una come Margaret Atwood, l’autrice de Il racconto dell’ancella, che al termine femminismo preferisce non a casi quello di “umanesimo”. E che rimette al centro le persone, e non l’aggressività spacciata come unica via per l’autodeterminazione.