
Omicidio Mattarella, il falso “scoop” dell’Espresso. Un tribunale ha assolto Cavallini, di nuovo tirato in ballo
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Non è una novità che, a carico di Gilberto Cavallini, sotto processo a Bologna per la Strage del 2 agosto 1980, si tenti di perfezionare la così detta opera di “mostrificazione”, addossandogli l’assassinio di Pier Santi Mattarella. Addossargli è certamente il verbo più attagliato alla situazione, visto che Cavallini, per l’assassinio del fratello del capo dello Stato, è stato assolto in via definitiva.
Omicidio Mattarella, le suggestioni dell’Espresso
Questo, però, non preoccupa minimamente i giornalisti de “L’Espresso” – sempre ansiosi di manifestare come implacabile il loro antifascismo militante (in)degno d’altre epoche -, per i quali ci sarebbero niente di meno che “novità scientifiche” a supporto della tesi crollata in tribunale. Oddio, cosa ci sia di “scientifico” è tutto da capire, in questa storia della pistola usata per uccidere Mattarella che, secondo le suggestioni de “L’Espresso”, potrebbe essere la stessa poi usata per assassinare il giudice Mario Amato.
Infatti, secondo la Procura di Palermo e gli investigatori della “Scientifica”, a collegare le due pistole ci sarebbe solo l’orientamento delle rigature sui proiettili – che vanno verso sinistra – e che farebbero presupporre l’uso di un revolver di marca “Colt” e modello “Cobra”. Orbene, può essere benissimo che quella caratteristica balistica fosse tipica proprio di quell’arma, ma è certo in modo assoluto – come scrisse, per esempio, il 3 gennaio 2017 Claudio Bigatti per la rivista specializzata “Armi e Tiro” – che la “Cobra” fosse il “revolver per difesa tra i più famosi e di successo della casa americana”.
In altre parole, si tratta di una delle pistole più vendute al mondo, nel trentennio che va dal 1950 al 1981. Un po’ poco per smontare una sentenza passata in giudicato e che vide chiedere l’assoluzione in primo e secondo grado per Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini niente meno che su richiesta della pubblica accusa, rappresentata da Giuseppe Pignatone.
Omicidio Mattarella, vogliono mostrificare Cavallini
Perché mai, allora, tanto rumore per nulla? Per di più, dopo che proprio il presidente della Repubblica, fratello della vittima, ha lanciato di recente un appello contro i revisionismi sulla storia del terrorismo in Italia? Il duplice obbiettivo sembra chiaro: da una parte, raffigurare Cavallini in modo che i giudici della Corte d’Assise di Bologna, in particolare quelli “popolari”, non abbiano esitazione alcuna nell’emettere un verdetto di condanna nei suoi confronti; dall’altra, sottacere l’unico elemento di novità emerso dal dibattimento appena concluso nel nuovo processo per la Strage alla stazione: l’esistenza – questa sì appurata scientificamente e in modo incontrovertibile – di una 86esima vittima.
Una vittima in più di cui nessuno vuole parlare, poiché sconvolge definitivamente il quadro cristallizzato delle menzogne raccontate e affermate anche nei tribunali dal 1980 sull’attentato più grave mai compiuto in Italia.