Unicredit si ingrassa con gli utili ma dimagrisce tagliando posti di lavoro: via 500 filiali e 8.000 dipendenti
Unicredit gioca a fare lo squalo finanziario ma a pagare saranno i dipendenti. Più cedole, una crescita dell’utile sostenibile e una nuova decisa riduzione dei costi. E’ il nuovo piano al 2023 di Unicredit, Team 23, che punta soprattutto sulla remunerazione dei soci. La quota di capitale distribuito rispetto all’utile aumenta dal 20% al 40% nel periodo 2020-2022 fino al 50% nel 2023, per un totale di 8 miliardi tra dividendi cash (6 mld) e riacquisti di azioni (2 mld). Il personale, invece, diminuirà ancora, anche se, come in passato, in modo “socialmente responsabile”, assicura il ceo, Jean Pierre Mustier presentando la strategia. Cosa che farebbe presupporre l’utilizzo del fondo esuberi per gli esodi previsti. La banca prevede da qui al 2023 di tagliare 500 filiali e altri 8mila posti di lavoro. Che si sommano quindi ai 14mila del piano precedente, considerando anche le uscite derivanti dalle cessioni di asset (Pekao, Fineco, ecc). Secondo i sindacati, con cui è appena iniziata una trattativa, il grosso dei tagli riguarderà l’Italia, con 6mila uscite, di cui 500 legate ancora al piano precedenti, e 450 filiali chiuse sulle 500 previste.
Unicredit accresce il suo business
La riduzione dei costi controbilancia l’aumento degli investimenti: quelli in It crescono del 17% rispetto al piano precedente con un investimento medio di 900 milioni l’anno. In tutto, i costi totali della banca al 2023 saranno di 10,2 miliardi, poco meno rispetto ai 10,3 miliardi del 2018.Il business crescerà, ma non troppo. I ricavi di fine 2019 sono stati confermati a 18,7 miliardi e nel 2023 la banca prevede di aumentarli a 19,3 miliardi, con una crescita annua dello 0,8%. Il trend è più o meno lo stesso per l’utile, che salirà a 5 miliardi dal target di 4,7 miliardi che dovrebbe essere raggiunto a fine 2019.
e cessioni straordinarie degli ultimi anni dovrebbero essere finite. Dopo la cessione di Pioneer, Bank Pekao, Fineco, Mediobanca e della quota del 9% in Yapi Kredi, “siamo contenti del nostro attuale perimetro”, ha detto Mustier. E in Turchia “non arriverà nient’altro” sulla partecipazione rimanente nella controllata. Niente grandi fusioni, come previsto, ma solo “piccole acquisizioni aggiuntive”, possibili per lo più nell’Europa centro-orientale. “Non abbiamo ancora niente in pipeline, quindi non diamo dettagli”, taglia corto Mustier. Un’altra pulizia significativa è attesa sul fronte dei non performing loan. Nuove operazioni di derisking, di cui 5 miliardi di cessioni, porteranno il rapporto tra esposizioni deteriorate e crediti totali sotto il 3,8% a fine piano.
I sindacati: l’unico esubero è il management…
I crediti deteriorati totali scenderanno sotto i 20 mld alla fine del 2023. Sono quasi 60 miliardi in meno rispetto alla fine del 2015. La banca conferma il progetto per creare una subholding italiana non quotata “al fine di ottimizzare il requisito Mrel”. Ovvero il requisito minimo di fondi e passività soggette a bail-in. “Il piano industriale così com’è non può nemmeno essere preso in considerazione”, osserva in una dura nota il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Rincara la dose Massimo Masi, della Uilca. “Gli unici veri esuberi della banca sono il ceo Jean Pierre Mustier e il management, che ha ideato un progetto senza visione industriale e di prosperità”.