Acca Larentia, anche senza giustizia quel martirio resta incancellabile
42 anni e il ricordo non svanisce. Anzi, la memoria resta ancorata a quel sacrificio. Franco, Francesco e Stefano, martiri di Acca Larentia: i loro nomi rimangono per l’eternità nel cuore di una comunità che non smette di versare lacrime. Con loro c’erano Enzo, Maurizio e Pino, che riuscirono a portare a casa la pelle in quella che era una guerra senza fine.
Roma insanguinata, quel 7 gennaio del 1978. Il brutale eccidio di quella sera come un’azione militare: i terroristi rossi assassinarono Bigonzetti e Ciavatta davanti alla sezione martire. Poi cadde a terra, ucciso anche lui, Stefano Recchioni che stava lì come tutti, incredulo per quella strage. Abbattuto da una pallottola che il capitano dei carabinieri Sivori negò di aver sparato. E il tribunale gli diede ragione. Chissà chi fu….
Poi Giaquinto. E Mancia…
Un anno dopo toccò, a Centocelle, ad Alberto Giaquinto. Chiunque militava, in quegli anni terribili, si smarriva, perché ogni sera, al rientro a casa, poteva toccare a lui. O persino al mattino, come un paio di anni dopo accadde ad un altro indimenticabile, Angelo Mancia.
Sono storie drammatiche, incancellabili soprattutto per chi le ha vissute. Nel maggio dell’anno dopo spararono ancora, sempre davanti a quella sezione. C’eravamo noi. E ci salvammo, per pura fortuna. O per un miracolo. Quella destra era un bersaglio: fare politica bei quartieri più popolari, era considerato un crimine dal terrorismo rosso che si organizzava contro di noi.
Acca Larentia, un simbolo
Acca Larentia non si dimentica perché è diventata un simbolo. Per alcuni, la strage rappresentò uno spartiacque, il segnale che bisognava difendere la nostra gioventù. Si separavano le strade, tra chi sceglieva la strada della giustizia armata e chi cercava ancora quella che sembrava impossibile, quella della militanza. Il sangue non finiva di scorrere.
Il Msi subì un autentico martirio in quegli anni, decine e decine di Caduti per una bandiera. Per un’idea. Per una testimonianza. Non si ambiva al potere, in quel tempo: in gioco c’era la sopravvivenza. Ecco perché chi fa politica oggi – anche ai più alti livelli – non deve mai dimenticare quel sangue. Ed è importante soprattutto ora che la destra italiana risorge. È una storia che merita profondo rispetto quella del Msi, anche nella simbologia, soprattutto di questi tempi in cui è così facile bollare il nemico come fascista, per non avere rimorsi nel colpirlo. Né fisicamente, né con la parola, i titoli, le inchieste fasulle.
Fieri di quei martiri. Per sempre
Quel sangue rappresenta ancora oggi un segno di lotta senza la quale tutto sarebbe finito. Il coraggio di quei militanti – e per alcuni di loro persino la vita – ha preceduto il cammino di oggi: dobbiamo continuare ad esserne fieri. Si moriva per un’idea. La nostra idea. Ecco perché non riusciamo proprio a cambiarla. Nessuno si permetta mai di dubitare dell’amore per la democrazia da parte di quei nostri martiri. L’apertura di una sezione era una conquista territoriale, per i comunisti rappresenta a una sconfitta, per chi viveva di odio e antifascismo un’onta.
Ciascuno di noi era là. Ieri fisicamente, oggi spiritualmente. Quel Presente significa soprattutto questo. Vale per Franco, Francesco e Stefano. E vale per ciascuno di noi. Ora e per sempre.
Anche per loro vale la domanda di giustizia che non si ottiene ancora.
ONORE A QUEI MARTIRI DIMENTICATI DALLA NOMENCLATURA, MARTIRI SCOMODI PER LA SINISTRA E PER LA STAMPA ALLINEATA. SPERIAMO IN UN FUTURO MIGLIORE DI MAGGIORE LIBERTA.
Ma rifondare l’Msi sarebbe un’idea così utopistica?
Io cero! Non dimenticherò mai i fratelli camerati caduti per un ideale. Le nostre idee Non moriranno mai. Onore e gloria per sempre.
Ricordiamoci anche di Ugo Venturini ucciso a genova da una bottiglia di vetro piena di sabbia durante il comizio di Almirante .Ugo lasciava un bimbo in fasce ed era UN VOLONTARIO NAZIONALE . Grazie