Fanta-Emilia, come la sconfitta di Bonaccini può portare il centrodestra al governo senza le urne
Cadrà o no il Conte-bis? Il day after delle elezioni di domenica prossima in Emilia Romagna esalta ed angoscia allo stesso tempo. Il centrodestra non ne fa mistero: se Bonaccini sarà disarcionato dalla regione più rossa d’Italia, un minuto dopo dovrà sbaraccare anche il governo. Al contrario, il mistero è tutto dalla parte delle quattro sinistre. Il premier e i suoi alleati ostentano mascelle serrate e carte copetissime. Ma tutto, a cominciare dal loro impareggiabile senso per la poltrona, autorizza a ritenere che non schioderanno da Palazzo Chigi neppure in caso di debacle elettorale. Anzi, ne approfitteranno per urlare il borrelliano «resistere, resistere, resistere!» che fa sempre tanta scena nei talk-show e poco bottino nelle urne.
La debacle di Bonaccini può aprire scenari impensabili
Non così se Renzi si muove e il Pd vuole. In tal caso, lo scenario post-Emilia sarebbe perfetto per quella che il Gattopardo definirebbe «un’impercettibile sostituzione di ceto politico». Fuor di metafora, significa che il conto di Bonaccini lo pagherebbe il solo Conte. Rottamarlo è il sogno nel cassetto di Renzi. Ora che i Cinquestelle sono al tracollo sente che può realizzarlo. Ma ha bisogno di Zingaretti, il più interessato a favorire la metamorfosi del soi-disant avvocato del popolo da riserva della Repubblica in capro espiatorio. Diversamente, dovrà essere lui a togliere il disturbo.
Le convenienze di ZingaRenzi e le paure di Crimi
Insomma, o così o tutto a puttane, legislatura compresa. E siccome il voto politico immediato vanificherebbe il taglio dei parlamentari, nulla esclude che la sconfitta di Bonaccini riesca a convincere la sinistra a trovare più convenienti le urne che una prolungata agonia. Fanno eccezione i grillini, ora affidati al supplente della sesta ora Vito Crimi. Per loro vale il contrario. Meglio il “rompete le righe” e il sostenere chiunque pur di allontanare la resa dei conti con i cittadini. Dovesse accadere, ci troveremmo a parti completamente invertite: ZingaRenzi a invocare il voto e il centrodestra a rivendicare la centralità del Parlamento dopo esservi diventato maggioranza grazie ai transfughi del M5S. Sempre che, beninteso, Salvini sappia citofonare anche al Quirinale.
Inutile citofonare alla casa di un sordo.