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Ernesto Galli della Loggia durante la conferenza dibattito dal titolo “L’Italia in trasformazione,costume,politica ed economia” alla Camera di Commercio di Modena nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni dalla fondazione della BPER Banca a Modena.11 Giugno 2017.ANSA/ELISABETTA BARACCHI
Ernesto Galli della Loggia durante la conferenza dibattito dal titolo “L’Italia in trasformazione,costume,politica ed economia” alla Camera di Commercio di Modena nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni dalla fondazione della BPER Banca a Modena.11 Giugno 2017.ANSA/ELISABETTA BARACCHI

Galli della Loggia: se non gradisco un rom come vicino di casa non significa che sono razzista…

Politica - di Vittoria Belmonte - 11 Gennaio 2020 - AGGIORNATO 11 Gennaio 2020 alle 15:27

Ernesto Galli della Loggia torna a scrivere un editoriale controcorrente. Con argomenti solidi e culturalmente strutturati. Il tema è l’accoglienza dell’altro e il parlare troppo spesso a sproposito di razzismo. Già anni fa Galli della Loggia sottolineò che la diffidenza verso l’altro da sé è un fatto naturale.

Oggi sul Corriere torna sull’argomento, partendo da una citazione di Claude Lévi-Strauss. Per l’antropologo si può parlare di razzismo solo in presenza di una ostilità attiva di una cultura verso l’altra che porta a negare all’altro gli stessi diritti di cui godiamo noi. È invece un dato normale nei comportamenti umani sentire più o meno affinità con un’altra cultura. Se si denuncia questo fatto come razzismo si rischia di ingigantire il fenomeno perché le persone penseranno “se questo è razzismo ebbene io allora sono razzista”.

Galli della Loggia, il verso razzismo è un’altra cosa

“Dunque – argomenta ancora Galli della Loggia – non volere avere troppo a che fare con i nigeriani, dico per dire, a causa del loro modo di fare, o sentirsi infastiditi dall’odore del cibo cucinato dai bengalesi. O trovare sgradevole l’idea di avere dei vicini di casa rom, non ha niente a che fare con il razzismo. È un’altra cosa. Così come è un’altra cosa preoccuparsi del fatto che la presenza di una cultura diversa dalla propria raggiunga proporzioni tali da rendere la nostra minoritaria. Una tale preoccupazione – continua – diventa razzismo non già quando in base ad essa si chiedono all’autorità misure per evitare che si crei la condizione suddetta, bensì quando si invocano misure a qualunque titolo discriminatorie nei confronti di chi è già tra di noi”. Oppure quando si compiono atti di aperta ostilità, anche usando parole sbagliate, verso chi non condivide la nostra cultura.

Le culture vanno “maneggiate con cura”, avverte lo studioso. In quando sono costitutive della nostra identità. Per questo se esasperare gli animi sul dato identitario è sbagliato, lo è altrettanto, da parte della sinistra, applicare “sconsideratamente il termine razzismo” anche ad atteggiamenti naturali. Così si banalizza solo il problema, e si rischia di ottenere il risultato opposto a quello desiderato. Cioè si fa aumentare il tasso di razzismo per l’algida indifferenza dei radical chic verso i temi identitari trattati come “bassi istinti”.

 

 

 

 

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Ci sono 2 commenti

  1. francesco d'ercole ha detto:

    Condivido pienamente le argomentazioni del professor Galli della Loggia

  2. Albert 2020 ha detto:

    Ma questo è esattamente ciò che dicono Salvini e Giorgia Meloni. Tranne che se lo dicono loro sono “razzisti”, “fascisti”, “xenofobi”. Se lo dice Galli Della Loggia diventa una sottile “analisi di un intellettuale”.

di Vittoria Belmonte - 11 Gennaio 2020