Il mito del Sessantotto demolito in un romanzo di Massimo Pedroni
La storia italiana può essere narrata anche attraverso un racconto privato ed esistenziale. Non avremo in tal caso un affresco d’ambiente, ma l’illuminazione di un particolare denso di umanità. La storia come diceva Thomas Carlyle non è che l’essenza di innumerevoli biografie. Questa storia dal volto umano è l’essenza del libro di Massimo Pedroni dal titolo Dichiarazione di morte presunta (NeP edizioni, pp. 159, euro 15). Pedroni demolisce il mito del ’68. Non lo fa raccontando eventi, ma narrando una psicostoria dal significato emblematico.
La vicenda è ambientata nella manciata di mesi che vanno dalle festività natalizie del 1967 al giorno della “battaglia” di Valle Giulia, il 1 marzo del 1968. Il protagonista della storia, Diego Fenaroli, avvocato trentenne, partecipa a un’assemblea di condominio dalla quale emerge l’esistenza di un muro nell’area cantine dell’edificio di cui tutti avevano fino ad allora ignorato l’esistenza. Quale mistero si nasconde? Che cosa c’è dietro quel muro? Questo elemento di tensione accompagna la narrazione fino alla “sorpresa” finale.
Ma la vera vicenda del romanzo non è il muro misterioso. Bensì la ricerca di Diego della sua identità, del suo passato. Soprattutto la ricerca del padre, Arnaldo, scomparso nel nulla quando lui era piccolo, senza dare alcuna notizia di sé. Di qui la dichiarazione di morte presunta che dà il titolo al libro. Ma il protagonista, dentro di sé, è convinto che il padre sia ancora vivo e lo cerca. E lo “incontra” , almeno così crede, in alcuni volti misteriosi che incontra. Particolare significativo, il protagonista ha la pelle nera perché di madre eritrea. Ma è (e si sente) italianissimo. Ad accompagnarlo nella sua ricerca è una giovane donna, Maria Grazia, una compagna d’infanzia, con la quale ricostruisce frammenti del suo passato.
Che c’entra il ’68 con tutto questo? C’entra perché il protagonista cerca il padre, proprio nell’anno della rivolta dei figli contro i padri. C’entra perché lui, di colore, riafferma la sua italianità proprio quando si impongono le mode internazionaliste e terzomondiste. E poi c’è il suo essere figlio del passato coloniale dell’Italia. Che lui non rinnega. Ma che riafferma proprio cercando il padre.
Storia pubblica e storia privata si intrecciano riccamente nel finale. Diego si ritrova nel mezzo dei “moti” di Valle Giulia senza sapere perché. Rimane accidentalmente ferito. E viene soccorso da un misterioso personaggio. È un uomo col «Borsalino e dal cappotto dalla filigrana grigia, tipica dei suoi tempi». Chi è quell’uomo? È il padre a lungo cercato che arriva (e poi scompare) in un momento drammatico? Allucinazione o realtà? La penna di Pedroni è volutamente ambigua. Quanto basta per creare una sospensione fantastica e surreale.
In contemporanea ai fatti di Valle Giulia, i condomi i tentano di abbattere il muro. Vanamente. «Il muro era infinito. Coriaceo, scalfito in più punti, ma indomabile». Indomabile come la realtà, come le identità che realmente contano nella vita. L’essere padri, l’essere figli. Della “battaglia” rimane il deserto. «Qua e là, fuochi fatui estinti dalla pietre spente. Un senso di abbandono alitava sui luoghi». Ecco cosa rimane del ’68. Al di là del mito.