Per fatto personale. Bene se la sanità laziale non è più commissariata, ecco che cosa manca adesso

30 Gen 2020 6:00 - di Francesco Storace

Un plauso a Nicola Zingaretti, ma anche qualche considerazione dedicata ai rosiconi di professione. La fine del commissariamento della sanità del Lazio è una buona notizia perché restituisce il diritto a discutere sulle scelte di politica per la salute dei cittadini. E magari pone fine a tante balle costruite ad arte.

Ne parlo per fatto personale. E ne ho anche scritto al governatore. Anche perché la nostra cultura ci vieta di godere dei problemi altrui, come facevano su di lui i suoi alleati grillini. Oppure chi non sopportava – dopo quarant’anni – l’apertura dell’ospedale Sant’Andrea di Roma o del policlinico di Tor Vergata, l’acquisizione dell’istituto tumori Regina Elena come la messa a nuovo del Centro paraplegici di Ostia e tante altre realtà sanitarie dell’epoca. Tra gli oppositori di allora c’era l’attuale assessore alla sanità, D’Amato, che non a caso a volte pare fermo ancora a quel ruolo caratteriale. Sbagliava.

È la sanità della Capitale d’Italia

Invece, e ce ne siamo dati atto reciprocamente con Zingaretti nella scorsa legislatura, c’è un tema che riguarda segnatamente la sanità della Capitale d’Italia. I suoi servizi pubblici, gli ospedali religiosi, quelli privati, le università, il territorio. Come tutto quello che ruota soprattutto attorno a Roma, alle sue funzioni e alle sue responsabilità. Non è un territorio normale, proprio per i servizi che deve erogare non solo ai romani. Vale per la regione, vale per il Campidoglio. E l’esposizione debitoria è legata a regole vecchie di finanziamento di un sistema che non può essere considerato eguale ad altri.

Questa vicenda della fine del commissariamento insegna che il lavoro comune aiuta il cittadino. Che è contribuente e paga le tasse. Per servizi di cui usufruiscono anche altri che in quel territorio arrivano da tutto il mondo. Lo comprese Renata Polverini, lo ha compreso Zingaretti. Lo deve capire lo Stato. È la Capitale di tutti, non solo dei romani.

Altrimenti restano tasse e tagli ai servizi

Poi, certo, ci sono le questioni legate alle scelte politiche. È evidente che l’opposizione ha tutto il diritto di pretendere il rispetto dei cittadini. Perché le istituzioni – impotenti finora a ottenere il cambio di rotta dallo Stato – si sono limitate a puntare ad ottenere qualche soldo in più da Palazzo Chigi, ma senza garanzie di carattere strutturale. E questo spiega la montagna di tasse locali che pagano i cittadini nel territorio, con la beffa di vedersi tagliare servizi essenziali per la salute. O anche quello che riguarda l’amministrazione di Roma città.

L’augurio che ci sentiamo di rivolgere alla Capitale e alle sue istituzioni del territorio è di trovare la forza necessaria a non dover più elemosinare, ma di vedersi garantire diritti concreti. E magari puntare ad una riforma vera che sappia restituire proprio alla Capitale i poteri autentici di una regione, a partire da quelli legislativi. Ci vuole coraggio, anche a partire da Zingaretti. Ora che è leader nazionale e presto o tardi andrà in Parlamento, egli è nelle condizioni di accompagnare un percorso costituzionale come quello che proponiamo a destra da anni per il territorio di Roma o anche della sua provincia.

Ma guai ad esitare. Anche qui: non servono bandierine di partito, ma lucidità di azione e senso istituzionale. Oltre la propaganda.

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