Il neorenziano Cerno: «Il Pd mi ha chiesto il pizzo». E Zingaretti fa il pesce in barile
Metti una trasmissione tentatrice e sulfurea come Un giorno da Pecora (Radio 1), un tipino narciso come il senatore Tommaso Cerno, un partito in ambasce come il Pd e la polemica è bell’e apparecchiata. E che polemica! Fatale quando la politica prende in prestito le parole dalla mafia per spiegare le proprie dinamiche. Quasi un tic per una sinistra fin troppo abituata a sbarazzarsi degli avversari grazie a toghe e procure compiacenti. E ora neanche si accorge più se le scappa il piede dalla frizione.
Cerno ospite di Un giorno da Pecora
Chiedere per conferma proprio a Cerno, eletto con il Pd e ora con Renzi. È stato lui a fare la pipì della metafora mafiosa fuori dal secchio della politica. E solo per polemizzare con il suo vecchio partito che pretendeva da lui 18mila euro di quote arretrate. «Si chiama strozzinaggio, si chiama pizzo, mi han chiesto il pizzo», ha urlato indispettito il senatore. Che non è uno che ignora il significato delle parole, visto che prima di insignirsi del laticlavio ha diretto l’Espresso e condiretto Repubblica. Il massimo del mainstream per un aspirante parlamentare di sinistra, sebbene gli sia più congeniale la provocazione alla Sgarbi che lo “spiegone” alla Damiano.
Dal leader solo un tweet
Sia come sia, la sua sortita è di quelle che lasciano il segno. Almeno nel Pd milanese. Lo stesso che lo accolse a braccia aperte sebbene catapultato dal Veneto. E che ora si vede così mal ripagato (in tutti i sensi) dal senatore core n’grato. Non così, però, in Zingaretti, il capo del Pd nazionale. La sua reazione è tutta in tweet di solidarietà alla segretaria meneghina Silvia Roggiani, il bersaglio di Cerno. Quest’ultimo, invece, che l’ha brutalizzata bollandola come «ex-portaborse» neppure è menzionato nel cinguettio del leader. Segno che il tic di cui sopra riguarda non solo le parole, ma anche i silenzi della sinistra.