“La burocrazia ci sta uccidendo”: il costituzionalista spiega come siamo arrivati a questo punto
Burocrazia e costi della politica: riceviamo da Salvatore Bucolo e pubblichiamo
Alfonso Celotto è avvocato e professore di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza all’Università di Roma 3. Burocrate appassionato di leggi e decreti, ne parla spesso sui giornali, in radio e in televisione. Dal 2017 cura la rubrica “Carte bollate” a “Unomattina”. È stato capo ufficio legislativo e capo di gabinetto di diversi ministri e ha lavorato presso varie istituzioni, tra le quali la Banca d’Italia; il Ministero delle Politiche europee; della Semplificazione normativa, dello Sviluppo economico; della Salute,; dell’Economia e delle finanze, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Ospedale israelitico e l’ARAN.
I danni della burocrazia
Ha pubblicato il romanzo Il dottor Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale (Mondadori, 2014) e vari saggi tra cui L’età dei non diritti e La Corte costituzionale. È nato prima l’uomo o la carta bollata: è il suo ultimo capolavoro, pubblicato da Rai Libri, ove racconta alcuni problemi che hanno reso la burocrazia uno dei maggiori “costi” della nostra esistenza Troppe leggi, troppa lentezza, troppi enti, troppa frammentazione di competenze, un linguaggio troppo oscuro. La burocrazia è stata pensata quale garanzia di legalità in un modello di Stato incentrato sul primato della legge.
Le regole sono uguali per tutti, approvate da un Parlamento rappresentativo e applicate in maniera imparziale e quasi automatica da pubblica amministrazione e giudici. Sono passati quasi tre secoli e siamo ben lontani da quell’idea illuministica: da anni (molti, troppi) è diventata una forma di complicazione, che estenua i cittadini e intralcia i procedimenti.
Dove va a finire l’interesse pubblico
Il risultato concreto è un meccanismo così cavilloso nel quale si perde di vista l’obiettivo finale: cioè l’interesse pubblico. Insomma, la burocrazia è ormai uno dei maggiori “costi” della nostra esistenza, che favorisce la corruzione e potenzia la disaffezione verso lo Stato. L’autore in questa sua opera, racconta alcuni dei problemi che ci hanno portato al punto in cui siamo.
Professore Celotto, è davvero possibile vivere secondo la normativa vigente, oppure manca sempre il modulo H-bis?
È assolutamente impossibile in quanto abbiamo duecentomila leggi, diecimila enti pubblici, una serie infinita di adempimenti, per cui mancherà sempre qualcosa, ad esempio in una automobile mancherà la regolazione dell’altezza dei fanali, l’adeguata intagliatura del battistrada e così via. Manca sempre il modulo H-bis. Sempre e lo viviamo quotidianamente sulla nostra pelle in ogni storia di burocrazia!
Cosa ne pensa del reddito di cittadinanza?
È una misura di assistenza sociale che può ed ha un senso nello stato sociale. Dobbiamo ritenere che tanti anni fa, in tempi diversi, il pubblico impiego era una forma d’ammortizzatore sociale e oggi lo è diventato il reddito di cittadinanza. L’importante è saper utilizzare bene questi strumenti.
Cosa potrebbe causare l’eventuale riduzione del numero dei parlamentari?
Un’eventuale riduzione del numero di parlamentari potrebbe causare un taglio della rappresentanza sul territorio, che potrebbe compromettere la pienezza del pluralismo democratico. La Costituzione è di tutti e andrebbe modificata con maggioranze elevate e qualificate. Da molti anni, le riforme vengono invece approvate con maggioranze semplici e questo fa attivare la volontà politica del popolo, con il referendum.
Riduzione dei parlamentari, il rischio
In gioco – prosegue il ragionamento Celotto- infatti non c’è solo la semplice riduzione a 600 parlamentari: con un risparmio limitato per le casse dello Stato. Il rischio è invece quello di compromettere la pienezza del pluralismo democratico, la rappresentatività sul territorio. Potrebbero esserci regioni con pochissimi senatori o categorie non rappresentate. Il Parlamento ha di sicuro i suoi problemi di funzionamento, ma non verranno risolti tagliando semplicemente il numero di deputati e senatori.
Professore, secondo lei, la nostra democrazia oggi di cosa necessiterebbe?
Ha bisogno di nuovi strumenti e nuova partecipazione. Certo, la democrazia contemporanea nasce due secoli fa, in un sistema a voto limitato: in cui pochi votavano e quindi si sentivano rappresentati in Parlamento. Poi per decenni i partiti hanno svolto il ruolo di mediazione e trasmissione delle istanze politiche. Ma quella è una politica non più attuale.
“Rappresentanza parlamentare antiquata”
Oggi – prosegue il costituzionalista- il mondo della nuova comunicazione rende “antiquata” la rappresentanza parlamentare. Del resto i partiti tradizionali, presenti sul territorio e vicini alle persone sono altrettanto fuori dal tempo. E oggi si cercano nuove strade di partecipazione e recupero di democraticità. Non solo si può pensare alla democrazia elettronica, ma anche a forme di tecnocrazia.
Cosa ne pensa dell’attuale governo?
L’attuale governo è tipico di una forma repubblicana “fragile”, nel senso che avendo una legge elettorale per gran parte proporzionale, avendo partiti piuttosto “fluidi”, è difficile riuscire a fare maggioranze coese senza una visione. Quindi questa fragilità governativa non è solo del governo Conte 2 o del Conte 1, ma anche di tanti governi che riescono a fare poco proprio per l’intrinseca fragilità della forma di governo.