
Il Pil è già crollato del 10%. Ma nel 2021 potrebbe esserci un bel balzo in avanti
Un attacco al cuore dell’economia italiana. E’ il Csc a definire l’impatto del Coronavirus sul Paese che polverizza anche il record negativo di Pil raggiunto nel 2009 nel corso della peggiore recessione dal dopoguerra ad oggi: a dicembre 2008 infatti Confindustria stimò per il 2009 una caduta della crescita dell’1,3% rivista in peggio nel giugno successivo al -4,9%. Il Pil 2009 chiuse poi ufficialmente al -5%. Lo shock da virus che investe oggi l’economia “come un meteorite” è invece pari al-6% ma solo se almeno il 90% delle attività potesse riprendere a fine maggio“.
La risalita del Pil nel terzo trimestre
Una risalita sarà possibile a partire dal terzo trimestre del 2020. Una risalita “graduale”, per l’allentamento delle misure restrittive, e “lenta”: “la ripartenza è attesa procedere in maniera limitata rispetto alla caduta”, prosegue Confindustria che riconosce l’importanza di misure anticicliche, a partire da quelle varate dal primo dl Cura Italia, circa 25 miliardi di risorse, a sostegno delle imprese e delle famiglie, che contribuiranno a contenere il calo del Pil.
Non resta che aspettare…
Nel 2021, dunque, il Pil è atteso in parziale recupero dalla caduta, la stima è del +3,5%, nell’ipotesi che si abbia un completo ripristino delle condizioni di normalità, dal punto di vista economico, dentro e fuori dell’Italia, anche grazie agli interventi combinati di politica economica messi in atto nei paesi interessati dall’emergenza Covid-19. “La ripartenza del commercio globale farebbe da traino alle esportazioni italiane, mentre la ripresa della fiducia di famiglie e imprese e migliori attese sulle prospettive dell’economia italiana determinerebbero un importante stimolo per la domanda privata”. Ma Confindustria non si illude:”il rimbalzo del Pil nel 2021 compenserà solo parzialmente la forte diminuzione di quest’anno. Al quarto trimestre del prossimo anno i livelli di PIL saranno ancora inferiori rispetto a fine 2019″.
Pil 2020 -6% se stop fase acuta emergenza a fine maggio – Il Covid-19 affonda il Pil Italiano che a fine 2020 registrerà un -6%. E questo solo nel caso che entro fine maggio riprenda almeno il 90% delle attività economiche. Altrimenti, le previsioni “andranno riviste al ribasso” e i calcoli dicono che ogni settimana in più di blocco normativo della produzione ‘brucerà’ almeno lo 0,75% di Pil aggiuntivo, quasi 14 miliardi. Secondo gli economisti di viale dell’Astronomia il Pil italiano è cresciuto a ritmi bassissimi per gran parte del 2019, calando nell’ultimo trimestre. Nel complesso del 2019 è risultato in aumento di un modesto +0,3%. “Il trascinamento statistico al 2020 era già negativo (-0,2%)”, spiegano ancora. Così ad un arretramento del Pil del 4% nel primo trimestre, prevalentemente da ascriversi alla diminuzione del valore aggiunto nei servizi, seguirebbe una caduta del 6% nel secondo, quando anche il valore aggiunto dell’industria diminuirà in misura significativa.
Nel 2020 deficit-Pil al 5%, al 3,2% in 2021 – L’indebitamento delle Amministrazioni Pubbliche salirà nel 2020 al 5% del Pil, per poi scendere al 3,2% nel 2021. A stimare l’impatto degli interventi del governo a salvaguardia dei lavoratori e delle imprese è il Centro studi di Confindustria nel Rapporto di primavera. “Si sconta anche la disattivazione completa, in deficit, della clausola di salvaguardia per un valore di 20,1 miliardi di euro , pari all’1,1% del Pil.
Crollo consumi -6,8% e investimenti -10,6% in 2020 – Per consumi e investimenti lo stop produttivo imposto dal’emergenza coronavirus si tradurrà nel 2020 in un vero e proprio crollo. Il Rapporto di primavera del Centro studi di Confindustria che stima per fine anno un -6,8% della domanda interna e un -10,6% negli investimenti fissi lordi. Gli imprenditori si attendono comunque un effetto rimbalzo nel 2021 che potrebbe riportare i dati in terreno abbondantemente positivo, dal 3,5% dei consumi che seguiranno l’andamento del reddito disponibile reale (-3,1% quest’anno e +2,7% nel prossimo) al +5,1% degli investimenti. Il crollo più pesante nella domanda interna si avrà nei primi due trimestri del 2020 per i quali la previsione Csc stima un arretramento cumulato di circa l’8% con una sostanziale ricomposizione del paniere dei beni di consumo a sfavore di abbigliamento, trasporti, servizi ricreativi e servizi ricettivi e di ristorazione. Sul fronte degli investimenti a farne le spese particolarmente quelli in macchinari e mezzi di trasporto (-7,4%). Giù anche le costruzioni che nella media del 2020 risultano in calo del 4,5% nel settore delle abitazioni e del 3,1% nel settore dei fabbricati non residenziali.
Con stop a 50% industrie -25% produzione mese – L’interruzione di 4 settimane imposta alle imprese del manifatturiero che ha coinvolto oltre il 50% del settore industriale in senso stretto genera, da solo, una diminuzione della produzione industriale di circa il 25% su base mensile: tenuto conto del contesto già recessivo che obbliga le imprese a lavorare a regime ridotto rispetto a condizioni normali, è possibile assistere tra marzo e aprile a una caduta della produzione industriale superiore a un terzo. “Un calo così profondo e concentrato nel tempo non si è registrato nemmeno nella recessione del 2008-2009 quando la diminuzione dell’attività è stata di circa il 25%, ma in un anno”, annotano ancora gli economisti di viale dell’Astronomia che lamentano come “il recupero da una caduta così forte non è facile né scontato” sia per la gradualità necessaria al ritorno alla normalità sia per il basso contributo delle esportazioni. “Saranno dunque condizionate le prospettive di crescita del medio periodo e “le imprese italiane più orientate all’export infatti sono candidate a essere tra le vittime più illustri di tale emergenza”.
Le previsioni fosche
Secondo stime del CSC, comunque,i settori “essenziali”, per i quali è stato invece consentito il proseguo dell’attività, generano circa il 60% del valore aggiunto e della produzione nazionali; danno lavoro a circa il 70% degli occupati (17,3 milioni) e coinvolgono il 44% delle imprese (circa 1,9 milioni). Ma , proseguono gli economisti di viale dell’Astronomia, se si osserva la quota rispetto all’industria in senso stretto (estrattivo, manifatturiero ed energetico), i settori industriali coinvolti attivano quasi il 50% della produzione italiana, occupano il 43% degli occupati (1,8 milioni), rappresentano il 44% delle imprese (178mila) e il 47% del fatturato industriale.
Inoltre, le imprese che sono autorizzate a lavorare generano una quota di fatturato domestico pari al 49% e di quello estero pari al 43% e si osserva la quota rispetto all’industria in senso stretto (estrattivo, manifatturiero ed energetico), i settori industriali coinvolti attivano quasi il 50% della produzione italiana, occupano il 43% degli occupati (1,8 milioni), rap presentano il 44% delle imprese (178mila) e il 47% del fatturato industriale. Inoltre, le imprese che sono autorizzate a lavorare generano una quota di fatturato domestico pari al 49% e di quello estero pari al 43%
Nel 2020 occupazione -2,5%, vola disoccupazione 11,2% – Sarà “drammatico” il calo dell’occupazione che la lotta al Coronavirus imporrà al Paese: – 2,5% in termini di Ula, -1,5% in termini di lavoratori impiegati e -3,1% in termini di monte ore lavorate. Vola la disoccupazione ai livelli della grande crisi del 2009, +11, 2%.
Un aumento anche contenuto dalla doppia frenata dovuta ad un effetto ‘scoraggiamento’ e alla ‘tesaurizzazione’ dei lavoratori, grazie alla Cig, da parte delle aziende. Già nella seconda metà del 2020, l’input di lavoro utilizzato tornerà a crescere di pari passo al rialzo dei livelli di attività, annota ancora il Csc per il quale in media d’anno, nel 2021, le Ula aumenteranno del 2,1%, ovvero a un ritmo inferiore rispetto al Pil, dato il progressivo allungamento degli orari. Ma sono due i fattori che potrebbero, secondo Confindustria, “aumentare il rischio di più ampie perdite di posti di lavoro”: lo stato di debolezza dell’economia prima dell’insorgere della crisi e la composizione settoriale del calo di attività, con molti servizi, specie alcuni ad alta intensità di lavoro e con elevata incidenza di contratti temporanei, quali ristorazione, alberghi e commercio, colpiti duramente dall’attuale crisi.