L’epidemia in Italia segue virulenza e tempistiche diverse. Gli esperti: serve cambiare strategia. Ecco come
Mutato o no, il coronavirus ora infierisce con un’epidemia che segue modalità e velocità diverse da regione a regione. Tanto che gli esperti parlano di “epidemia asimmetrica” e della necessità di agire, tempestivamente, declinando modalità e tempi d’intervento a seconda delle zone. Dunque, come sollecita anche Il Giornale in queste ore, occorre valutare «un cambio di strategia». L’unica certezza, al momento, è che il virus continua a correre. Senza sosta e senza distinzioni tra un’area e l’altra del Belpaese. E nonostante i provvedimenti restrittivi adottati dall’esecutivo ormai già due settimane fa.
L’epidemia in Italia è diventata asimmetrica
Lo studio dei dati e delle rilevazioni di esperti scientifici e addetti ai lavori, però, non può non prendere in esame il significativo divario numerico che segna a caratteri e numeri di fuoco l’andamento dell’epidemia nelle diverse regioni d’Italia. A partire dall’esplosione dei contagi registrata in Lombardia, in testa a tutte. Ma anche dell’implementazione ormai acclarata anche in Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e, con i dovuti distinguo, giù fino al resto del Paese. la verità della matematica e l’attendibilità del calcolo percentuale, insomma, parlano chiaro. E come spiega il sito del quotidiano milanese diretto da Sallusti, anche il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, fa i conti con il differenziale delle cifre.
Tempi e virulenza dei contagi diversi nelle regioni
E dichiara: «L’84 per cento dei decessi in Italia è stato registrato in Lombardia, Emilia e Piemonte. Ci troviamo quindi al cospetto di un’epidemia asimmetrica a più velocità che non può più spiegarsi solo con il fattore cronologico (al Nord, come noto, il contagio è partito diversi giorni prima che nel resto del Paese)». Quindi aggiunge: «Sono d’accordo, ci sono ragioni strutturali di fondo – e in particolare nelle zone più colpite della Lombardia, come il Bergamasco, c’è una concentrazione molto alta, stili di vita diversi, una cultura del lavoro, aspetti che paradossalmente sono diventati un fattore penalizzante». Dunque, non potendo eludere queste informazioni, l’ultima indicazione degli esperti è quella di ricorrere a strategie diverse a seconda dello stato epidemiologico che ogni regione vive e denuncia.
Diventa centrale il ruolo dei tamponi ma…
Quello di fronte al quale ci troviamo è un quadro dell’epidemia non proprio omogeneizzato. All’interno del quale la differenza può essere data soprattutto dal numero di tamponi da effettuare. In base all’ovvia evidenza secondo cui, più gli esami sono fatti in maniera capillare, più i numeri diventano affidabili e dirimenti. Tanto che, riporta sempre Il Giornale, «come conferma Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, “per ora le raccomandazioni sono quelle di testare i sintomatici per isolarli. E di testare quanto più possibile i loro contatti. Ovviamente questo è più difficile in aree come la Lombardia, per un fatto numerico. Ma ricordiamo che noi abbiamo oggi molte regioni del centro-sud dove il contagio corre a una velocità diversa, ed è ancora possibile e doveroso fare un contenimento efficace».
Serve cambiare strategia: ecco come
Ma questo non vuol dire fare tamponi a tappeto. E lo precisa appositamente l’epidemiologo Pierluigi Lopalco che, correggendo il tiro, afferma: «La strategia di contact tracking e diagnosi avviata in Italia è la più razionale ed adatta alle nostre esigenze epidemiologiche. Non va cambiata. Con l’unica eccezione della Sud Corea, l’Italia è il Paese che ha eseguito più test. Finiamola con questa sciocchezza che dobbiamo farne di più». dunque, stando agli addetti ai lavori, la soluzione più conveniente da adottare sarebbe quella di aumentare i controlli del tampone, ma in modo selettivo. Così da ottimizzare risorse e tempi.
La teoria di Roberto Burioni
Una teoria sposata in questo frangente anche dal virologo Roberto Burioni che, sempre citando Il Giornale, a tal proposito ha detto: «In questo momento è fondamentale fare test soprattutto sui guariti e chi ha sintomi lievi. Sappiamo che molti stanno a casa 15 giorni con sintomi chiarissimamente attribuibili al coronavirus, poi stanno meglio e guariscono. Ma alcuni sono ancora positivi. Su di loro è evidente l’utilità del tampone, per evitare che diventino inconsapevolmente veicolo di contagio». Perché,asimmetrie a parte, l’unico comune denominatore di tutte le regioni, è dato dall’evidenza che il contagio continua a proseguire. Ovunque…
gli esperti??? Quelli che cambiano idea tutti i giorni, ammettono un mese dopo i gravissimi errori iniziali, non si sono preoccupati di equipaggiamenti adeguati e disinfezioni, ci hanno detto che il virus sopravvive pochi minuti nell’ambiente ora si scopre che vive ore, ci dicevano che il virus era poco più di un raffreddore, litigano tra loro ma sono apodittici per non dire dittatoriali: è di moda. Due di loro hanno confessato di leggere la storia della peste nel 1300 e 1600: ecco da dove prendono i loro insulsi provvedimenti