Ristampato “Nati per combattere. Dalla Sapienza a Regina Coeli”. Il racconto di due soldati politici
“Nati per combattere. Dalla Sapienza a Regina Coeli” è un libro del 1999, oggi arricchito e aggiornato. E’ un libro scritto a quattro mani, da Duilio Marchesini e Giancarlo Scafidi, due cattolici tradizionalisti molto noti a Roma. La loro peculiarità rispetto ad altri frequentatori di chiese, è che loro furono disposti tutta la vita a battersi per le loro idee in piazza, contro nemici spietati e sempre soverchianti. Non erano certo neofascisti, ma spesso i loro percorsi, soprtattutto all’università di Roma, si sono incontrati.
Nati per combattere, una storia degli anni di piombo
Correvano gli anni Sessanta e Settanta, e, come scrivono in “Nati per combattere”, il materialismo marxista e ateo, eterodiretto da Mosca, voleva distruggere la società italiana ed europea. Marchesini e Scafidi furono sempre convinti della loro fede religiosa, e per questo si batterono sempre contro quella che loro consideravano la degenerazione della società. All’inizio lo facevano con strumenti culturali, anche all’università, con incontri e dibattiti, poi a loro fu impedito di parlare con la cieca forza, ed è allora, come dice Mordini, il monaco si fa guerriero.
Marchesini e Scafidi si opposero all’ateismo con ogni mezzo
Si opposero con tutti i mezzi alla subcultura marxista, che purtroppo aveva preso piede soprattutto tra i giovani. Si opposero alla droga, al divorzio, all’aborto, alle liturgie moderniste, alla teologia della liberazione. Ma soprattutto si opposero al conculcamento delle idee e alla prepotenza intollerante dei gruppi armati comunisti, che la volevano fare da padrone. Parteciparono alla battaglia di Valle Giulia nel marzo 1968, contrastando le continue occupazioni delle facoltà da parte dei gruppettari. In questo aiutati e sostenuti non solo dal Fuan e dalle organizzazioni di destra, ma anche dagli studenti che volevano studiare.
Gli scontri alla Sapienza nel 1968
“Nati per combattere” è pieno di aneddoti degli scontri all’università, e anche di storie ed episodi alcuni dei quali veramente gustosi. Le battaglie contro i preti marxisti alla abate Franzoni, le irruzioni nelle chiese “moderne”, con tanto di chitarre spaccate e falsi preti schiaffeggiati, le processioni vietate e da loro realizzate, e tantissimi altri episodi di quella Roma diversa. Ma fra tutti rimane storica la spettacolare contestazione alla prima di Jesus Christ Superstar al Teatro dell’Opera. Era il 17 dicembre del 1973. Paolo VI e il Vaticano, tra l’altro, si erano detti “entusiasti” dell’opera.
Jesus Christ superstar e i criceti paracadutati
Gli autori insieme con movimenti di cattolici tradizionalisti, avevano rimediato, chissà come, una trentina di biglietti per la prima. Scrivono gli autori: “Era chiaramente offensivo della dignità di Nostro Signore Gesù Cristo”. La polizia, con il solito commissario Improta, presagiva che qualcosa sarebbe accaduto, e non sbagliava. Fu anche fermata una esponente politica oggi famosa, allora ragazza, con una borsa piena di ortaggi… Appena si spensero le luci, Marchesini si alzò e iniziò a urlare che quello spettacolo era un’offesa a Gesù Cristo, subito imitato da molti altri.
La contestazione al Teatro dell’Opera di Roma
Furono lanciati volantini dalla galleria alla platea, e furono persino lanciati tre criceti con piccoli paracadute che suscitarono un prevedibile pandemonio tra le signore radical-chic, tra le quali c’era anche la moglie del presidente della Repubblica Leone. La polizia accorse in forze e a fatica riuscì a immobilizzare i contestatori. Uno di loro, un ex paracadutista, si era aggrappato alla ringhiera della galleria e pendeva pericolosamente verso il basso. All’uscita, poi, i giovani attesero il critico Gian Luigi Rondi e gli espressero il loro disappunto con lanci di monetine. Tutti i giornali parlarono di quell’impresa. Su uno di loro, c’era la foto dei tre criceti, sani e salvi grazie ai paracadute.
L’esperienza di Regina Coeli come crescita spirituale
Ovviamente tra blocchi stradali, scazzottate, irruzioni nelle chiese, risse continuate, Marchesini e Scafidi finirono almeno sei volte a Regina Coeli. E a questo è dedicata la seconda parte dell ibro. Uno spaccato della disperazione, dell’inumanità, delle condizioni delle carceri italiane. E del tentativo degli autori di confortare i loro “concellanei”, come li chiamano, attraverso le Messe e l’aiuto nel disbrigo delle pratiche burocratiche. Tra rivolte carcerarie, risse, incontri col direttore. Di questa seconda parte pubblichiamo una pagina, per tutti noi molto significativa.
“Ciao Stefano”
Un giorno nella cella dei due autori arriva la comunicazione che sarebbe arrivato dall’isolamento uno dei “nostri”. Ecco che scrivono Marchesini e Scafidi. “E’ stato così che abbiamo incontrato Stefano: 19 anni, intelligente e allegro. Dopo un po’ che stavamo insieme ci sembrava di conoscerlo da sempre. S’era accapigliato per la politica, roba da poco. In 12 giorni era già stato scagionato. Dopo tanti concellanei problematici, averne uno così spensierato significava serenità, conversazione, affinità d’educazione e d’ideali. Insomma significava sentire di meno, molto di meno, il peso del carcere.
“Ci sentivano suoi fratelli”
Da bravo ragazzo qual era, con un pensiero organizzato, Stefano arrivava da solo a risolvere i problemi dell’ambientamento in prigione, ma era per noi motivo di soddisfazione anticipare le sue conclusioni, citando le molteplici esperienze avure fino a quel momento. Ci sentivamo come padri di un figlio e fratelli di un fratello. Anche lui si appassionava alla sua emancipazione e scriveva ai famigliari con entusiamo. Loro nei pacchi aggiungevano cibi per noi, essendo contenti che il vivace figliolo avesse trovato una fortuna in quella disgrazia. Ci è capitato così più di una volta di dover bloccare le sue corse a prendere di petto qualcuno che aveva detto o fatto qualcosa di scorretto, e ciò per evitargli la rituale borttigliata in testa.
“Nacque una sincera amicizia”
Ma, a parte le fioriture di un’indole generosa e retta posta a contatto con le storture di un ambiente, Stefano aiutava chi poteva in mille modi. Privandosi anche di effetti utili e andando incontro a qualche indigenza. Così in poco tempo si era fatto sì la fama di pivello tiracalci, ma soprattutto di amico su cui poter contare in qualsiasi momento. Con lui abbiamo parlato di religione e di politica, di musica e di filosofia durante quei 12 giorni di cella, e anche dopo, incontrandoci nella vita libera. Ma di più avremmo parlato e più spesso ci saremmo visti se avessimo saputo che per Stefano quello era l’ultimo anno di vita. Si trattava di Stefano Recchioni, Parà per gli amici, il ragazzo che perse la vita al Tuscolano la sera del 7 gennaio 1978 insieme a Franco Ciavatta e Francesco Bigonzetti. Ciao Stefano”.
Buongiorno
Vista la sintuizione che stiamo vivendo, con un governo non in grado di gestire lo stato di cose e incapace di comprendere le necessità di riaprire le attività, vorrei esprimere un mio pensiero.
Mia moglie ha un salone di parrucchiera, ormai chiuso dai primi di marzo, abbiamo saputo che si potrà riaprire a giugno, con lo spettro del fallimento, allora penso , visto che abbiamo immediatamente scarcerato boss mafiosi con burocrazia zero, per caso stanno facendo in modo che parrucchieri ristoratori ecc. Siano prede facili dele società Mafiose????????. Spero di sbagliarmi ma , ho tanta paura che si sia data una grossa opportunità economica a chi vive nel crimine.
Bravissimi Duilio e Giancarlo. Del gruppo anche mio marito, Alfredo Pellrgrini Pacchiani, scomparso nel 1998.