Addio a Piero Visani, protagonista della stagione della Nuova Destra: intellettuale libero e coraggioso
Nel giorno di Pasqua, mi ha raggiunto la notizia della morte di Piero Visani. Sì, ho scritto “morte”, parola che sa di conclusione della vicenda umana di una persona, invece di “decesso”, vocabolo che specie in questi giorni di pandemia, ha assunto le impersonali, aride vesti della statistica. E Piero Visani era “persona” nel senso eminente del termine. Con la sua complessità. La sua coerenza e le sue contraddizioni. Soprattutto, con il suo destino. Con Piero ci siamo conosciuti in anni lontani, quando insieme con Marco Tarchi, Stenio Solinas, Maurizio Cabona e tanti altri abbiamo fondato il movimento metapolitico che andò sotto il nome di “Nuova Destra”, pur ponendosi come obiettivo il superamento delle categorie “Destra” e “Sinistra”. Con lui abbiamo “fatto” riviste, convegni, viaggi. Poi, con l’esaurimento di quel movimento, ci siamo persi di vista: lui a Torino, io a Roma. Ciascuno a continuare il proprio percorso professionale, familiare, culturale. Ci siamo poi ritrovati grazie a Facebook. E da allora – pochi anni fa – abbiamo ripreso a interloquire. A comunicare, anche a impegnarci in qualche amichevole polemica.
Addio a Piero Visani
Il primo episodio che mi ricorda Piero risale ad una riunione presso un notaio sanremese, in occasione della costituzione della Cooperativa che doveva gestire la nostra rivista Elementi. Al momento di dichiarare ciascuno le proprie generalità, compresa la professione, Piero scandì orgogliosamente “scrittore” (malgrado, all’epoca, non avesse scritto altro che qualche articolo). Ora, quella dello “scrittore” può essere una professione soltanto per chi dalla stessa ricava da vivere. Quando lo chiedevano a Montale, rispondeva “giornalista”, perché riteneva che quello del poeta non fosse un “mestiere”. Essere scrittori significava invece per Visani sfuggire alle definizioni della società. Rifiutarsi all’incasellamento. Un’attitudine, la sua, coerentemente perpetuata in tutta la sua esistenza, che di questi tempi si può definire “breve” (avrebbe compiuto settant’anni il 25 luglio, altra data fatidica, legata alla sua biografia). Piero si definiva “apolide”, dunque non fu patriota. E rifiutava qualunque casacca politica, anche se alla politica si era avvicinato, non solo per la sua militanza pubblicistica, ma addirittura come candidato del Polo delle Libertà per le elezioni regionali in Piemonte, a metà degli anni 90. Non era stato eletto, e non c’è da meravigliarsene: evidentemente, la sua avversione per la democrazia era ricambiata.
Piero, un’animo “contro”
D’altra parte – per restare alle categorie – se Piero non fu patriota, non fu neppure religioso. Tanto che appare una beffa del destino che il suo commiato sia avvenuto il giorno di Pasqua. Ma questo non significa che non avesse interesse per il sovrasensibile. Piuttosto, si spiega con il suo “essere contro”. Basti pensare al suo blog, intitolato Sympathy for the Devil… E poi, non fu mai nichilista, semmai un aristocratico del pensiero. Ma, a proposito di contraddizioni, amò uno sport popolare come il calcio: ricordiamo la sua partecipazione, nel 1978, alla partita che vide contrapporsi le rappresentative della “nuova destra Italiana” – vittoriosa – a quella della “nouvelle droite”, in occasione di una “Université d’été” organizzata dal GRECE di Alain de Benoist e Guillaume Faye, nei pressi di Aix en Provence. E fu juventino, senza mai amare un allenatore vincente ma… “antiestetico” come Allegri.
Alla ricerca del “coraggio familiare”
Apprezzò il coraggio, e lo andò a cercare soprattutto nella storia militare, di cui fu esperto. E che vide sempre nelle sue interconnessioni con la storia “tout court” (dovrebbe uscire a breve, sempre per i tipi della “Oaks Editrice”, il secondo volume della sua “Storia della guerra dall’antichità al Novecento”). Non disprezzò il popolo. Ma lo vide piuttosto come soggetto passivo della storia, movimentata da oligarchie o da singole personalità eccellenti. E in questi movimenti seppe ricercare origini, cause, deviazioni, esiti. Attitudine che lo condusse a svolgere un ruolo di consulente per le alte sfere militari, anche in campo internazionale.
La sua idea di libertà: obbedienza a una legge personale
Non disdegnò la tecnica, senza peraltro farsene condizionare. E lo testimoniano il suo citato blog, come l’uso che fece di Facebook, che ne rivelò una folgorante capacità di sintesi. Amò la libertà non come esercizio di un arbitrio, ma come obbedienza ad una legge personale. In questo ponendosi a metà strada fra l’Anarca jungeriano e l’Uomo differenziato di Evola. Soprattutto amò la vita, da riempire di significati e da non vivere ad ogni costo come sequenza il più possibile lunga di giorni. E a questo imperativo ha risposto fino al letto dell’ospedale dove ci ha lasciato. Ci mancherai, mi mancherai, Piero. A te, che sei diretto verso un mondo migliore di questo, auguro il mio “buon viaggio”.