Ci manca solo il processo virtuale. Ecco perché l’idea di Bonafede fa male alla giustizia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione di Andrea Migliavacca sul processo penale a distanza
Il ministro della Giustizia sostiene una riforma che solo in apparenza affronta l’emergenza. Per chi non è avvocato, tutte le riforme della Giustizia sono buone. Per chi lo è, invece, molte delle leggi che intervengono sul rito, cioè sulle regole che governano il processo, e talune sulle norme sostanziali, sono da ritenersi una iattura, soprattutto quando assunte in emergenza.
Le riforme della giustizia e la legislazione d’urgenza
La reazione non è sicuramente indotta dalla fatica di dover affrontare nuovamente lo studio di una materia che già si maneggiava a fatica, per la moltitudine degli interventi precedenti, spesso scoordinati (sforzo a cui sono sottoposti anche i magistrati). Non è neppure ideologica, con ciò intendendosi l’avversione al nuovo che avanza, o la connotazione politica, che caratterizza quella determinata riforma. La repulsione è generalmente indotta dalla incapacità di comprendere la ragione per la quale un noto problema – perché da tempo irrisolto – debba essere frettolosamente affrontato, attraverso la legislazione d’urgenza. Sono un esempio le riforme estive del processo fallimentare o quelle norme sulla responsabilità medica, che ancora attendono, dopo anni di vigenza, alcuni necessari decreti attuativi.
I tempi del processo penale
Il processo penale, notoriamente contraddistinto da pause, ai più incomprensibili, spesso determinate da errori di notifica, dall’assenza o dall’impedimento (legittimo o meno) delle parti, dei loro difensori, magari dei testimoni e/o talvolta dei giudici, è lento. Altre volte, inspiegabilmente veloce e ciò, di solito, comprime i diritti processuali o sostanziali di una delle sue parti. Il processo penale, però, è quello che, a differenza di altri – salvo quelli che si celebrano nelle Alte Corti – ha mantenuto la sua sacralità.
Una “sacralità” che non può essere teletrasmessa
L’obbligo di indossare la toga e la pazienza (quella pettorina bianca, che molti detestano) – veste che sarcasticamene qualcuno ha ritenuto il modo per distinguere l’avvocato dal suo cliente – è un piacevole retaggio. La campanella che annuncia l’ingresso del Giudice o della Corte, il rispetto dell’ordine processuale di esposizione e la possibilità di intervenire, spesso forzando i tempi ed i modi, appartengono all’arte oratoria e alla tecnica difensiva. Questi strumenti, sui quali l’esperienza e lo studio incidono in modo significativo, fanno la differenza sia per distinguere un avvocato da un bravo avvocato, sia per il risultato finale. Una domanda suggestiva, sfuggita al sindacato del giudice, può indurre il teste, l’imputato o la parte offesa, ma anche il consulente in contraddizione, germe del dubbio, che può condizionare l’esito del giudizio.
I limiti del video processo penale
Il video-processo penale, quello che si celebra a distanza, oltre a privare le parti della ritualità di un luogo quasi sacro, quale è l’aula di Giustizia, difficilmente può riprodurre le dinamiche sinteticamente riassunte. Se poi si immagina di celebrarlo con gli strumenti che conosciamo allora si può solo intuire lo scempio. Chi ha figli che frequentano la scuola primaria ha probabilmente assistito alle video-lezioni e ha compreso come le capacità tecniche dei genitori degli alunni più piccoli e degli insegnanti più anziani possano fare la differenza tra una lezione ed il caos.
Il no di Camere penali e Consiglio forense
Gli avvocati, per primi, viste le ingenerose misure di sostegno di cui solo alcuni sono stati beneficiari, sono probabilmente i primi a voler riprendere le loro abituali attività difensive. È del tutto evidente che siano propensi ad accettare, nell’emergenza, ogni forma, anche quella in videoconferenza, ma c’è un limite, che non è ideologico e neppure tecnologico. Considerati i problemi tecnici che, ad esempio il Tribunale di Milano ha evidenziato col recente incendio che ha interessato proprio il settore penale, i dubbi, non solo costituzionali, si moltiplicano. È anche per questo che l’avvocatura, con le Camere penali ed il Consiglio nazionale forense, si sono opposti.