Coronavirus, la carenza di un topo da laboratorio potrebbe paralizzare la ricerca sul vaccino
L’immediato futuro del mondo potrebbe dipendere tutto da… un topo. Sembra fantascienza, ma è realtà. Perché solo un vaccino può liberarci dall’incubo coronavirus. Per ottenerlo, tuttavia, manca un anello fondamentale della catena: il topo da laboratorio. Non uno qualsiasi, ma un particolare topo transgenico. Nel 2007 lo creò Paul B. McCray, ricercatore dell’Università dell’Iowa. Lo fece spintovi dalla Sars. Da allora, però, il topo transgenico è un po’ passato di moda nel mondo della ricerca. Ma perché ne occorre proprio uno di quel tipo? Perché questo modello animale è in grado di catturare Covid-19 ed essenziale per testare future cure e vaccini. Purtroppo per noi, su questo roditore lavorano, su scala globale, solo una manciata di laboratori ultra-specializzati. A riportarlo d’attualità un articolo, pubblicato oggi su France culture che ripercorre l’origine della creazione di questo topo chiamato hAce2.
Si tratta di un topo transgenico. Fu “creato” al tempo della Sars
Il team di McCray aveva cercato di introdurre l’enzima umano Ace2 nei roditori. Obiettivo: rendere questi topi da laboratorio suscettibili alle malattie e quindi a un possibile trattamento. Ma essendo ormai “passati di moda”, la difficoltà è trovarli. Il loro mancato utilizzo per tanto tempo ne ha ristretto la colonia. A tal punto da non soddisfare le esigenze della comunità scientifica. Sta provando ad ampliarla il Jackson Laboratory. È un ‘azienda con sede negli Usa e in Cina, che raccoglie e alleva il maggior numero di topi da laboratorio al mondo, riuscendo produrne 11mila “famiglie” diverse. Ma, come spiega Christophe d’Enfert, direttore scientifico dell’Istituto Pasteur di Parigi, «non sarà in grado di commercializzarla fino a maggio o all’inizio di giugno».
Occorre tempo per ampliare la colonia degli speciali roditori
Il topo ha un enzima Ace2 la cui composizione è diversa dalla nostra. Da qui la necessità di modificare geneticamente il piccolo roditore introducendovi l’enzima umano che lo renderà suscettibile alle infezioni. L’uso di topi da laboratorio è essenziale, ma il loro tempo di produzione è lungo. I topi maschi sono fertili dopo cinque settimane di vita, le femmine dopo sette e partoriscono dopo circa venti giorni. Una delle soluzioni, secondo l’Istituto Pasteur, sarebbe quella di sviluppare i propri topi transgenici, ma non è così semplice. «Nel nostro istituto – dichiara d’Enfert – abbiamo altri topi che hanno un patrimonio genetico diverso. Stiamo valutando se, tra questi, ci siano roditori che potrebbero sviluppare naturalmente un’infezione da coronavirus».