Il cane ci potrebbe immunizzare dal coronavirus? E’ l’ipotesi di uno studio scientifico italiano
Il cane e il gatto non trasmettono il coronavirus. Semmai ne sono vittime. Sgombriamo il campo dalle tante bufale che abbiamo sentito questi giorni. Gli animali domentici non sono portatori – né sani né malati – di coronavirus o covid-19 che dir si voglia. Ornai l’hanno detto tutti: dall’Oms all’Istituto superiore di Sanità, dall’Enpa ai veterinati. Sono tutti concordi. Insomma, non ci sono evidenze scientifiche che indicano che possano trasmettere l’infezione all’uomo. Si tratta di bufale che possono essere molto pericolose.
Il cane potrebbe immunizzarci
Ma adesso c’è qualcosa di più serio che ci conforta. Avere un cane potrebbe aiutare contro il nuovo coronavirus. Uno studio italiano effettuato dall’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con l’Università Magna Graecia di Catanzaro e l’Università di Milano, ha portato a scoprire una grande somiglianza nella struttura della proteina spike del coronavirus umano con quella del cane e del bue, suggerendo dunque l’ipotesi – tutta ancora da dimostrare però – che l’esposizione a questi animali domestici possa dotarci di difese immunitarie naturali, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19.
E’ l’ipotesi di una ricerca scientifica
Questa ipotesi di lavoro preliminare potrebbe portare in futuro a nuovi trattamenti e vaccini, ma anche a nuovi approcci diagnostici. Lo studio, descritto sul sito del Policlinico Gemelli di Roma – in uno spazio dedicato alle nuove Pillole anti Covid-19 – suggerisce anche una possibile spiegazione alla grande variabilità dei quadri clinici osservati nel caso di infezione da Covid-19 (da quelli fatali, a quelli paucisintomatici). Ma come nasce questa ipotesi?
Lo studio di tre università italiane
Lo studio di bioinformatica, pubblicato online su Microbes and Infection, ha realizzato un confronto tra identikit molecolari di coronavirus infettanti specie animali diverse della sequenza aminoacidica della proteina Spike del Sars CoV-2, usata dal virus per penetrare nelle cellule, confrontandola con quella di altri coronavirus imparentati da un punto di vista tassonomico e dotati di un tropismo per altre specie animali. I risultati hanno rivelato una bassa omologia di sequenza della proteina Spike del Sars-CoV2 con quella del coronavirus respiratorio del cane (36,93%), del coronavirus bovino (38,42%) e del coronavirus enterico umano (37,68%).
“Ma andando a restringere l’analisi alle sequenze che si sa essere riconosciute dal sistema immunitario, i cosiddetti epitopi del SarS CoV-2 – spiega Maurizio Sanguinetti, direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Gemelli e ordinario di microbiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – abbiamo riscontrato un’elevata percentuale di omologia rispetto ai coronavirus tassonomicamente correlati. Di particolare interesse risulta la grande somiglianza delle sequenze dell’epitopo 4 del coronavirus respiratorio canino con quelle del SarS CoV-2”.
Lo studio sul cane appena pubblicato
I risultati dello studio, appena pubblicato, aprono la strada a nuove ipotesi di lavoro per cercare di comprendere i meccanismi biologici alla base dell’infezione virale. In particolare, gli autori ipotizzano che una precedente esposizione al coronavirus del cane potrebbe garantire un’immunizzazione almeno parziale, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19. Somiglianze importanti sono emerse anche tra gli epitopi della proteina Spike del Sars CoV-2 e il coronavirus bovino (il cui genoma e le cui proteine sono stati inclusi in alcune delle formulazioni vaccinali impiegate in medicina veterinaria su animali da reddito).
“Gli animali insomma – conclude Sanguinetti – potrebbero aver avuto insomma un ruolo critico nell’innesco e nell’evoluzione di questa epidemia (che ricordiamo essere una zoonosi), sia come serbatoio virale, ma anche agendo come fonte benefica di particelle virali immuno-stimolanti, in grado di offrire protezione contro il Sars CoV-2 circolante, attenuandone i sintomi”. Una ipotesi di lavoro, che andrà vagliata da studi ed esperimenti ad hoc, concludono i ricercatori.
Zaia: non abbandonare gli animali
Lo dice anche chi con il coronavirus ha avuto drammaticamente a che fare. “Non abbandonate gli animali, è una vergogna abbandonare cani e gatti per strada e purtroppo se ne trovano ultimamente di abbandonati. Non facciamo allarmismo e ad oggi non si sono rilevanze scientifiche sulla possibilità che un animale trasmetta il virus all’uomo. In ogni caso sono in costante contatto con il nostro servizio veterinario è al momento non c’è alcun allarme in questo senso”. E’ questo infatti l’appello lanciato ai veneti dal presidente della Regione, Luca Zaia. Dopo il diffondersi della notizia di un possibile contagio del virus da parte di cani e gatti all’uomo. Notizia peraltro smentita dall’Istituto Superiore di Sanità.