Il numero uno dei medici italiani: “Siamo a cento morti, ci hanno abbandonato”
“Cento colleghi morti. E’ una ferita sulla pelle di tutti i medici italiani. Mai avremmo pensato di arrivare a tanto. Questi numeri devono far riflettere chi doveva tutelarci”. Filippo Anelli, numero uno dei medici italiani, denuncia la situazione di abbandono della categoria.
Anelli, presidente dei medici italiani: “Piangiamo 100 colleghi morti”
Non nasconde il suo sdegno il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), “La sicurezza sul lavoro è un diritto dei cittadini, ma anche dei medici. È opportuno riflettere su quanto questo virus ci abbia colti impreparati e sul fatto che garantire la sicurezza sul lavoro è un dovere dello Stato”, aggiunge Anelli, sottolineando “che i medici di famiglia hanno pagato il tributo più pesante”.
“Sono stati lasciati soli a combattere a mani nude contro il virus – denuncia il presidente della Fnomceo – Se i medici si sono ammalati, questo è accaduto perché sono stati contagiati visitando i loro pazienti”. In Italia “c’è una paura diffusa, ma non posso tacere l’esigenza di tutelare un diritto, quello alla sicurezza sul lavoro. I medici garantiscono la salute e le cure agli italiani, ma hanno a loro volta il diritto di agire in sicurezza. Chi non li ha messi in condizione di farlo deve riflettere – sottolinea Anelli – e riflettere molto. Perché quello che abbiamo sotto gli occhi, oggi che piangiamo 100 colleghi morti, non si ripeta mai più”.
La storia del dottor Natali, ucciso dal coronavirus a 56 anni
Le storie dei cento medici italiani sono vicende di eroismo quotidiano. Emblematica quella di Marcello Natali, medico di famiglia dell’area di Codogno nel Lodigiano, morto a 56 anni dopo giorni in prima linea, in cui si è speso anche per sostituire colleghi malati. “Io purtroppo non vado bene, desaturo parecchio, in mascherina con 12 litri di ossigeno arrivo a 85. Prevedo un tubo nel breve/medio termine”, aveva scritto con lucidità Natali in un sms all’amico e collega Irven Mussi. Il suo è un ricordo commosso ma anche pieno di rabbia. “Marcello era una quercia. Siamo stati mandati in guerra senza nessuna protezione. Almeno i fanti portavano l’elmo”, ha scritto Mussi nella straziante lettera di addio al collega.