Un commosso ricordo di Piero Visani, appassionato studioso del “dio della guerra”
Caro Piero, qualche giorno fa ho scoperto il poema “La solitudine dello storico militare” di Margharet Atwood e quei versi mi avevano fatto pensare proprio a te, anzi, sembravano scritti per te: «Il mio lavoro ha a che fare con il coraggio e le atrocità. / Ne ho scritto nel modo più accurato. / E, a prescindere da ciò che dice la propaganda, non ci sono mostri, / o spoglie che, infine, non possono essere sepolte».
Ci eravamo sentiti l’ultima volta il 24 marzo, poi è arrivata la notizia: sei andato oltre!
Una profonda tristezza mi stringe il cuore: questo tempo maledetto che viviamo non ci permette neanche di onorarti degnamente, ma lo faremo.
Allora ho ripensato a come ci siamo conosciuti, attraverso le pagine del Secolo grazie alla collaborazione a una rubrica di questioni strategiche (Strategika appunto) che Flavia Perina, Luciano Lanna e Aldo Di Lello avevano inteso a suo tempo inaugurare, dando prova di una grande sensibilità nei confronti di tematiche che la Destra italiana – latamente intesa – ha a lungo purtroppo trascurato. Ogni settimana ci siamo alternati per quasi tre anni su quelle pagine, avvertendo fin da subito, che – come fa dire Maurice Dantec a uno dei protagonisti dei suoi romanzi – «avevano qualcosa in comune, una passione segreta per la strategia, una forma di addiction alla sopravvivenza, una paranoia attiva, e quasi ludica».
Quello che mi colpiva era la tua sensibilità per il fenomeno bellico, una sensibilità che non è quella grossolana e primitiva dei fautori di una sciocca ostentazione di muscoli, ma quella avveduta e consapevole di chi sa riconoscere – dietro le parole d’ordine “politicamente corrette” di un flusso mediatico narcotizzato e narcotizzante – come il conflitto permei l’esistenza contemporanea, in forme ben più marcate di quanto si sia disposti ad ammettere, e come esso si manifesti ovunque, dalla conflittualità individuale fino alla guerra guerreggiata, investendo ogni campo della società.
Non a caso il massmediologo Andrea Fontana ti ha riconosciuto il merito di aver introdotto il concetto di “stratega mediatico” e il tuo costante, appassionato contributo nel decifrare il nuovo volto del dio della guerra che domina – con la frammentazione e la parcellizzazione – una serie di dimensioni (finanziaria, mediatica, terroristica e oggi geopandemica) di cui soltanto a pochi è chiara la natura scopertamente polemica e polemogena. Tutto il tuo impegno prometeico si è manifestato nel fare sì, in una parola, che il polemos potesse diventare logos.
E poi amavo leggerti sul Secolo certo, poi su Linea e infine sul tuo blog Sympathy for the Devil.
Proprio da qui ho voluto trarre alcuni brani che secondo me permetteranno anche a chi non ha avuto la fortuna di conoscerti, di gettare uno sguardo su quell’universo così ricco che era la tua anima e di cui facevi dono agli amici: «Il giorno della visita a Waterloo faceva un caldo infernale, ma l’entusiasmo che animava me e mio figlio Umberto era tale che impiegammo tutta la giornata a vagare sul campo di battaglia, da Hougoumont a La Haye Sainte, fino al museo con il suo gift-shop, dove comprammo una marea di ricordi, di wargame, di soldatini. Sul far della sera, una mia felice intuizione ci portò a visitare il paesino di Plancenoit, sul lato destro del campo di battaglia, dove per ore, a partire dal pomeriggio del 18 giugno 1815, i battaglioni della Giovane Guardia, poi supportati da alcuni della Vecchia Guardia, avevano cercato di resistere, in condizioni di disperata inferiorità numerica, alla marea prussiana. Si stava addensando un temporale, quella sera, proprio come era accaduto nel 1815, e Plancenoit era desolantemente vuoto, immerso in una calura infernale. Lo visitammo a piedi e ricordo di avere avuto netta, nettissima la sensazione di vedere i Voltigeurs e i Tirailleurs cercare di fare il possibile, e l’impossibile, per fermare i prussiani. Sentivo le voci, le urla, gli spari, i lamenti dei feriti. Una delle sensazioni più forti e devastanti della mia vita, su un campo di battaglia. Non lo dimenticherò mai. Poi la sera, ritornati a Namur, in un bell’albergo dove ci eravamo insediati, passammo ore a guardare i regali che ci eravamo comprati, pregustando il fatto che, nei giorni successivi, ci saremmo immersi nelle Ardenne, per seguire le tracce del “colpo di coda” tedesco del dicembre 1944. Adoro il turismo sulle tracce della Storia e, anche se questi ricordi appartengono a una delle mie tante vite – certo a una più felice dell’attuale – essi rappresentano una delle poche cose per cui è valsa la pena di vivere; come tutte le volte in cui ho vissuto per me, e per educare mio figlio».
E a noi non resta che continuare a pensarti con quel costante sorriso che nonostante il profondo pessimismo incorniciava il tuo nobile viso.
Piero Visani è stato – con Marco Tarchi, Stenio Solinas, Giuseppe Del Ninno, Umberto Croppi, Maurizio Cabona, Peppe Nanni e Alessandro Campi – uno dei principali animatori della Nuova Destra. Per molti anni ha lavorato come consulente del ministero della Difesa, dello Stato Maggiore della Marina Militare e in seguito della Presidenza della Repubblica all’epoca di Cossiga. Ha inoltre svolto un’intensa attività giornalistica scrivendo per La Gazzetta Ticinese, Il Giornale, La Gazzetta di Parma, Il Sole 24 Ore, il Secolo d’Italia, L’Indipendente e Linea.