Ustica, lo Stato risarcirà 330 milioni di euro all’Itavia: non garantì la sicurezza dei cieli

23 Apr 2020 15:07 - di Roberto Frulli
USTICA - Il Dc9 Itavia ricostruito a Bologna

Lo Stato italiano dovrà pagare 330 milioni di euro di risarcimento alla compagnia Itavia perché ritenuto responsabile della strage di Ustica non avendo garantito la sicurezza dei cieli.

La decisione, che arriva a distanza di 40 anni da quel 27 giugno 1980 – fra due mesi ricorre l’anniversario – quando nel disastro morirono 81 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio, è della Corte d’Appello di Roma. Che ieri ha depositato la sentenza con la quale condanna i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare quei 330 milioni di euro, frutto di una rivalutazione monetaria e degli interessi.

La sentenza della Corte d’appello che chiude questa parte della vicenda di Ustica è, secondo quanto scrive il Sole 24 Ore, frutto della richiesta della Cassazione di quantificare il danno aggiuntivo subito dalla società. Che subì  lo stop della flotta aerea e la revoca della concessione successiva alla strage di Ustica.

Ustica, la causa civile promossa dagli eredi di Davanzali

Nel 2018, infatti, il risarcimento per l’Itavia era stato quantificato in 265 milioni da una sentenza definitiva. Che, tuttavia, liquidiva solo il danno per la caduta del Dc9 a Ustica. Mancava, appunto la quantificazione del danno aggiuntivo per la compagnia aerea, degli interessi e della rivalutazione monetaria complessiva.

A promuovere la causa contro i due dicasteri, colpevoli, secondo la sentenza, di non aver garantito la sicurezza dei cieli, sono stati gli amministratori straordinari della società. Rappresentata dallo studio dell’avvocato Giuseppe Alessi e ad adiuvandum, in quanto soggetti interessati a sostenerne le ragioni, Luisa Davanzali e Finnat Fiduciaria, soci che insieme rappresentano il 69 per cento della società.

La sospensione delle attività di volo per la compagnia Itavia avvenne il 10 dicembre del 1980. Mentre con due successivi decreti datati 16 dicembre 1980 e 23 gennaio 1981, l’Autorità aeronautica dichiarò decaduti i servizi di linea. E decise la risoluzione delle convenzioni esistenti.

Ustica, la strage di Bologna e quelle minacce dell’Fplp

La vicenda giudiziaria della strage di Ustica ha preso due strade opposte e inconciliabili.
L’unico processo penale per la strage di Ustica, quello ai quattro generali dell’Aeronautica accusati di depistaggio – Lamberto Bartolucci, morto nel febbraio scorso, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo – si è concluso con l’assoluzione definitiva. E con l’esclusione dell’abbattimento in volo del Dc9 da parte di un missile.

Una tesi fermamente sostenuta all’epoca dal Pci. Secondo il parlamentare del Pci Salvatore Corallo , intervenuto alla 149° seduta del Senato, parlare di bomba a bordo era una dichiarazione irresponsabile. Perché “avrebbe potuto avere conseguenze negative per il nostro Paese”.

In quei giorni le ripetute minacce di attentati del Fplp contro l’Italia e obiettivi e cittadini italiani erano giunte a un punto di non ritorno.
L’Fplp minacciava da mesi l’Italia di attentati perché era sotto processo a L’Aquila uno dei più alti esponenti dell’Fplp, Abu Anzeh Saleh.
Arrestato per un traffico di missili sul territorio italiano dopo che, inutilmente e per due volte i Servizi Segreti italiani avevano tentato di espellerlo dall’Italia, Saleh, che abitava a Bologna, si era rivolto ad un parlamentare del Pci. Ed era riuscito a non essere espulso grazie, proprio, all’intermediazione del Pci.

Le conclusioni opposte della giustizia penale e di quella civile

I procedimenti civili, invece, sono giunti a una conclusione opposta. Quella di un missile che quel giorno, sui cieli di Ustica, avrebbe centrato in pieno il velivolo civile dell’Itavia causandone l’esplosione in volo.

Da qui ne è derivata la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti. L’accusa? Non aver garantito la sicurezza nei cieli. E, quindi, ecco la condanna a risarcire Itavia con 33,1 milioni di euro. Che attualizzati diventano, appunto, 330 milioni di euro.

La rivalutazione, scrivono i giudici, “mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato ponendosi nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato”. E tiene contemporaneamente conto della “natura compensativa del lucro cessante. Subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento. La quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario”.

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