Aggressioni a medici e infermieri, l’ospedale non ha l’obbligo di costituirsi parte civile. Uno schiaffo alla categoria
Il nuovo testo del Decreto legge “Aggressioni” appena approvato alla Camera ha rimosso la proposta di rendere obbligatorio per le aziende sanitarie, per le pubbliche amministrazioni, le strutture ed i servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici o privati, la costituzione di parte civile nei processi di aggressione nei confronti di chi esercita le professioni sanitarie e socio-sanitarie durante l’esercizio delle loro funzioni, quindi durante le ore di lavoro, a causa dell’ennesimo cieco e superficiale emendamento. In altri termini nessun parlamentare, tra i firmatari dell’emendamento, ha preso in considerazione che con questa scelta si è certificata la sensazione di abbandono che alberga nella categoria medica e sanitaria.
La Cisl Medici Lazio si è battuta fortemente perché questo aspetto non venisse sottovalutato e medici e personale sanitario non fossero lasciati soli dalle aziende sanitarie durante il percorso legale da intraprendere a seguito di violenze ed aggressioni sul posto di lavoro. Tanti i casi, troppi.
Dal personale front line del Pronto Soccorso a quello di ambulatorio, le guardie mediche, gli operatori delle ambulanze o delle corsie ospedaliere, nessuno viene risparmiato. Molteplici le motivazioni, comunque mai giustificabili. Il personale sanitario rischia ogni giorno ed il clima è quello di essere al fronte.
Questa insensata scelta di non rendere obbligatoria la costituzione di parte civile a carico delle aziende sanitarie ed ospedaliere fa comprendere con chiarezza quanto certa politica sia tragicamente lontana dalla realtà, dalla vita vera e, senza girarci intorno, anche quanto tutto ciò possa essere di per sè pericoloso. Sarebbe bastato andare a verificare il numero effettivo di aggressioni subite dai camici bianchi nell’ultimo anno per riconsiderare l’idea.
Già con il sopraggiungere del Covid19 abbiamo potuto constatare le scelte infauste degli ultimi dieci anni di tagli economici per la sanità, per i posti letto, per le borse di studio in numero insufficiente per consentire ai neo laureati di intraprendere il percorso di specializzazione. Scelte di politica sanitaria che hanno determinato la grave carenza di personale che ne è derivata, la cronica incapacità di fare un’adeguata programmazione, che a sua volta ha causato una serie di criticità anche in quelle regioni dove avremmo dovuto in teoria essere più preparati, più forti.
Le liste d’attesa, i problemi di sovraffollamento nei Pronto Soccorso e il sovraccarico di lavoro sulle spalle dei medici da tempo avevano esasperato il rapporto con gli utenti che in più casi hanno reagito con violenze verbali e fisiche. Abbiamo avuto casi estremi in cui sono state usate armi, devastazioni di ambienti in stile guerriglia urbana, persino l’invasione di una sala operatoria durante un intervento chirurgico con il paziente sul tavolo. Situazioni gravissime che si erano ridimensionate solo nel periodo acuto del lockdown, ma che adesso hanno ripreso nuovo vigore.
Le federazioni datoriali che rappresentano le direzioni strategiche delle aziende sanitarie avrebbero dovuto fare la loro parte, essere vicino ai propri dipendenti incondizionatamente, mettere la propria capacità di incidere nelle dinamiche delle politiche sanitarie del Paese, usare la propria capacità di moral suasion. Non ci sembra di ricordare interventi in tal senso. Ricordiamo invece qualche tentativo di deresponsabilizzare la posizione datoriale anche invocando una concordia con le organizzazioni sindacali dei lavoratori ponendo in premessa che alla fin fine si rema tutti nella stessa direzione. Non ci sembra sia sempre vero. Chi usa condotte violente non teme certo una sanzione amministrativa. Quindi saranno gli operatori sanitari, ancora più soli come al solito, a dover denunciare in prima persona un sopruso, in questo modo accollandosi anche tutti gli oneri economici di una denuncia penale contro gli aggressori. Meno male che erano angeli, che erano eroi!