Bonafede-Di Matteo, l’ex-capo Dap, Ardita: polemica inopportuna, nomina non dipende solo dal ministro
Nello scontro fra Bonafede e Di Matteo sulla mancata nomina del pm antimafia a capo del Dap nel 2018 scende in campo Sebastiano Ardita, consigliere togato di Autonomia&Indipendenza del Csm. Ed ex-capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Che, ai microfoni di Rai News 24, definisce la polemica “inopportuna“. Anche in merito alla nota diffusa ieri dai consiglieri laici del Movimento 5 Stelle.
E quanto alla necessità di un chiarimento in Parlamento , l’ex-capo del Dap dice: “non faccio parte del Parlamento. Quindi non è una questione che mi compete. Posso dire che la nomina del capo del Dap non dipende solo dal ministro. E su questo non ho altro da dire. Non è una questione che ho affrontato personalmente. E non mi va di attizzare polemiche in questo momento storico”.
Ma, nello specifico, Ardita aggiunge che “per quello che mi consta e ho visto, Di Matteo non ha mai fatto riferimenti o fatto dipendere la mancata nomina da pressioni che provenissero da ambienti mafiosi o da condizionamenti di questo genere. Non ha mai espresso questo tipo di opinione. Ha raccontato dei fatti. E mi fermerei a questo. Perché questa polemica più va avanti e peggio è”.
Interpellato dall’Adnkronos, il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, ricorda di aver saputo dallo stesso Di Matteo della questione.
“Probabilmente Di Matteo mi accennò che vi era stata (nel giugno 2018 ndr) quell’offerta” del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. “Ma poi – precisa Federico Cafiero De Raho – non so quale sia stato il successivo sviluppo”.
Di Matteo avrebbe parlato della proposta fatta dal Guardasigilli come capo del Dap con Cafiero De Raho durante la permanenza del pm palermitano alla Direzione nazionale antimafia.
“Mi parlò di dell’incarico di capo del Dap. O, forse, agli Affari generali. Qualcosa mi accennò in verità…”, ricorda Cafiero De Raho.
Nello scontro fra Bonafede e Di Matteo entra anche il presidente dell’Unione Camere Penali italiane, Gian Domenico Caiazza in rappresentanza dei penalisti.
Siamo, osserva in un intervento sul Foglio, “all’implosione di un mondo che ha costruito la propria fortuna politica e non solo, anche editoriale e giornalistica, sul parassitismo dell’antimafia“.
“Alcuni soggetti hanno parassitato l’antimafia per farne una leva politica e di distruzione dell’avversario politico – spiega Caiazza -, è un aspetto che dovrebbe far riflettere seriamente”.
Il presidente dell’Unione Camere Penali pone una questione di non poco conto.
“Il dottor Di Matteo a chi risponde dei propri atti politici?”. Secondo Caiazza “Di Matteo non è chiamato da nessuno a rispondere di quello che dice – quantomeno dal vicepresidente del Csm. E’ una cosa fuori dal mondo. E risponde all’idea, ipertrofica, dell’invadenza della magistratura mediatica sulle dinamiche democratiche. Anche su quelle che non ci piacciono”.
Secondo il presidente dell’Ucpi, “se anche Bonafede avesse cambiato idea nottetempo” o “se, in virtù delle dinamiche della politica (proposte terze, suggerimenti del presidente della Repubblica o dell’Anm) avesse preferito altri equilibri”, il Guardasigilli “non deve renderne conto a Di Matteo. Non si capisce insomma la ragione di questo attacco a distanza di due anni”.
“Forse – ipotizza Caiazza – Di Matteo sperava di andare a dirigere il Dap adesso”.
Di certo, aggiunge il presidente Ucpi, “un pm, a maggior ragione se componente del Csm, non può permettersi, per nessuna ragione al mondo, di chiamare un ministro a discutere delle sue valutazioni politiche. Chi ha l’onore di ricoprire un incarico di così grande rilievo costituzionale, deve sapersi auto-limitare. Questo non significa rinunciare a esprimere le proprie opinioni. Ma vuole dire farlo nelle forme e nei modi corretti”.
“L’incidente istituzionale verificatosi in diretta televisiva domenica – annota la parlamentare palermitana di Fdi, Carolina Varchi, responsabile del Dipartimento delle politiche per il Mezzogiorno – è soltanto un altro elemento che denota l’inadeguatezza del ministro Bonafede“.
“Il comparto Giustizia è troppo importante per essere lasciato alla superficialità e al pressappochismo di questo esecutivo – dice la Varchi che è, anche, avvocato. – Il ministro Bonafede è arrivato al capolinea. Il mondo della Giustizia e quello penitenziario sono nel caos. I Tribunali sono chiusi perché questo governo ha rinunciato all’amministrazione della Giustizia”.