Ci siamo, riprendono le attività giudiziali. Ad attendere questo momento non solo gli avvocati
Il 12 maggio riprendono le attività giudiziali. Salvo qualche raro caso di assuefazione al confinamento, la quasi totalità degli avvocati anelava questo momento, se non altro, perché ad essa è legata la possibilità di partecipare alle udienze, depositare atti e quindi di fatturare. Il problema degli incassi sarà il medesimo di sempre, aggravato, con buona approssimazione, dalla crisi economica.
Ad attendere questo momento, evidentemente, non sono solo gli avvocati (alcuni dei quali beneficiari del sussidio di seicento euro: l’unico sinora erogato), ma anche le parti dei processi (civili, penali, amministrativi o tributari). Sicuramente una buona parte della popolazione è interessata a veder definito un giudizio od almeno una fase di esso.
Nella galassia che compone la platea della popolazione giudiziaria, è possibile che, in qualche rara eccezione, (ad esempio) tra i cancellieri, gli assistenti od commessi, rimasti a casa ad attendere che qualcuno suggerisse loro una modalità di lavoro da remoto (impossibile, considerate le limitate funzionalità informatiche del sistema giudiziario), ci fosse chi avrebbe preferito un ulteriore rinvio.
La convulsa decretazione d’urgenza non ha immaginato un criterio uniforme di ripresa dell’attività giudiziale nei vari comparti della giustizia (civile, penale, amministrativa e tributaria); ha, di fatto, delegato ai singoli uffici l’organizzazione delle attività. Ciò ha generato uno strano fenomeno di moltiplicazione dei protocolli, al punto tale da creare una modalità differente per ciascun settore. Le articolazioni periferiche del Ministero della Giustizia sono state abbandonate all’autogestione. All’interno dei mandamenti è stata assunta una linea guida spesso autonoma da quella dei singoli distretti, talvolta, disorganica (ove non contraria) rispetto alla prima. All’interno di uno stesso Ufficio giudiziario, poi, regole diverse a seconda della sezione, con facoltà di ulteriore deroga da parte di ogni suo Presidente.
Una mescolanza di regole disomogenee e confliggenti racchiuse, secondo l’Organismo congressuale forense, con una stima prudenziale, in oltre duecento protocolli. Un allarme inascoltato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro della Giustizia, tanto da indurre ad interessare direttamente il Presidente della Repubblica.
Il problema, afferma il citato organismo, non è tanto, o meglio, non è solo dell’avvocato, costretto ad affrontare un difficile se non impossibile studio comparato dei protocolli, ma delle parti che assiste.
Potrebbe risultare difficile, per la parte che assiste al prodigio della moltiplicazione dei protocolli, spiegare quali siano le insidie alle quali è sottoposto l’avvocato, se non quando è chiaro che (la parte) abbia perso la causa. Le linee guida, infatti, indicano come e quando debba essere compiuto un certo adempimento processuale; se la modalità od il tempo non vengono rispettati, subentra un istituto inesorabile che prede il nome di decadenza. Chi decade non può far valere un diritto e spesso questa eventualità è fatale.
L’avvocatura – già vessata per essere stata proiettata nell’era digitale senza preavviso, per essere stata gravata di compiti di gestione e controllo un tempo propri delle cancellerie, per essere costretta a partecipare da remoto alle udienze, secondo un evanescente processo virtuale, ora si deve preparare a studiare nottetempo (perché emanati all’indomani della ripresa) gli innumerevoli protocolli – è in agitazione, nell’interesse di tutti.
in realtà si terrano massimo il 3% delle udienze con protocolli vessatori e non garantisti, la maggior parte dei magistrati continuerà a ….lavorare da casa(?) quasi tutte le udienze saranno rinviate a non prima di settembre, cosi stanno decidendo i presidenti dei tribunali, applicando alla lettera le norme ( anticostituzionali) previste da un decreto legge di marzo, ormai superato dal miglioramento della situazione sanitaria, specie nel centrosud.
p.s. il c.d. bonus di 600 euro spetta solo a certe condizioni, e fatti salvi accertamenti dell’agenzia delle entrate, la maggior parte dei richiedenti , a distanza di oltre 15 giorni non lo hanno ancora ricevuto