Dal “vairus” di Di Maio alle “droplet” degli scienziati: non siamo immuni agli inglesismi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Inglesismi, roba chic, per qualcuno. Per noi, invece, l’esterofilia anche sul linguaggio è sinonimo di grande provincialismo e basta. La lingua italiana resta la più bella del mondo, si può dire o si rischia di essere fuori moda, ai tempi del coronavirus?
In primis fu Luigi Di Maio, che si fece ridere dietro da mezza Italia quando in tv parlò del “vairus” che minacciava il mondo e anche l’Italia. Un ministro della Repubblica italiana può cadere perfino su una parola di origine latina come virus (veleno)? Possibile? Sì, se da Pomigliano d’Arco si aspira a scalare i palcoscenici mondiali dimostrando di voler trasformare perfino un termine latino intrasformabile, come virus, in una parola pronunciata all’inglese, anzi, all’americana. Ed ecco partorito il “vairus”, che forse nemmeno Trum osa pronunciare così. Ma se il cattivo esempio arriva dall’alto, anche giornalisti e scienziati non si sottraggono alla tentazione di parlare straniero per dare più peso a quello che dicono.
Via libera, dunque, al “delivery”, spazio allo “smart working”, ed ancora, “rispettiamo il lockdown” e via dicendo, tutto rigorosamente in inglese. Poveri italiani, costretti a casa o negli ospedali dal coronavirus, torturati dal caos di news e fakenews (a proposito, non è meglio parlare di bufale?) sparate dai media e dal governo e in ostaggio degli inglesismi. obbligati a tenere a portata di mano un vocabolario d’inglese per capire cosa sta succedendo.
Sono i più anziani, soprattutto, a soffrire l’esterofilia dilagante causata da un moderno e provincialissimo vizio della classe politica e dei media di utilizzare termini inglesi per spiegare cose semplici e italianissime. “Food delivery”? E’ la tradizionale consegna del cibo a casa, la facevano anche le nostre nonne a figli e nipoti, ma forse qualcuno pensa che traducendolo in inglese il cibo risulti poi più saporito. A proposito, avete starnutito e la mascherina ha bloccato le vostre goccioline? Per i giornali si chiamano “droplet”, attenzione. Contagiano lo stesso, ma sembrano più internazionali e moderne.
Nemmeno la pandemia del Coronavirus riesce ad uccidere la nostra esterofilia ed il nostro scimmiottamento della lingua inglese, per cui secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, quindi, di tutti i mezzi d’informazione, le nostre espressioni che pur andrebbero bene ed utilizzate di “lavoro da lontano”, “lavoro a distanza”, “lavoro da casa”, “telelavoro”, sono diventate “Smart working”. La cui traduzione esatta però sarebbe “lavoro agile”. Forse perché la parola “lavoro” si associa alla “fatica”, e lo si vuole rendere più piacevole o addirittura esorcizzare come si è fatto con il “flash mob”, che poi sarebbe il teatrino improvvisato di canti e balli?
Cosa aspettarsi nei prossimi mesi dal coronavirus? Meno morti, più mascherine. Anzi, “filtering face piece”. Ma non illudetevi che chiamandole così vi proteggano meglio…
Pedrizzi,
e ora è spuntata anche un’impresa italiana, la Lavazza, che ha proposto la sua pubblicità in lingua inglese.
Ho trascorso circa venti anni all’estero in tre continenti. Conosco perfettamente la lingua inglese ma quando sono costretto a guardare il grado di subalternità e dominazione culturale in cui è stata gettata l’Italia da una elite che altro non è che un’accozzaglia di ignoranti somaroni non posso far altro che imprecare contro gli indegni che hanno permesso tali scempi.