Montanelli, Lerner al veleno: «È un sopravvalutato». Severgnini: «Guai a chi lo tocca»
La vicenda dell’abbattimento delle statue politicamente scorrette si è scagliata anche su quella di Indro Montanelli a Milano e non smette si suscitare polemiche e prese di posizione. Spiccano due opinioni opposte: quella di Gad Lerner al veleno e quella che non ti aspetti di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. La proposta dei cosiddetti Sentinelli (gruppo laico e antifascista, come si presentano sui social), di rimuovere la statua di Indro Montanelli dai giardini di via Palestro, sposata dal sindaco Sala e dalla sinistra, trova favorevole Gad Lerner, il quale su Twitter scrive , prendendola da lontano:
Lerner: “Venerazione sproporzionata”
“Andiamoci piano con l’abbattimento delle statue. Qualcuno potrebbe ricordare che la Bibbia contempla schiavismo e patriarcato: rimuoviamo pure il Mosè di Michelangelo?”. Poteva sembrare l’introduzione a un giudizio caustico sulla proposta indecente. Invece, in cauda venenum. Lerner aggiunge un PS sconcertante: “Montanelli è oggetto di venerazione sproporzionata alla sua biografia, non alimentiamola boicottandolo”. Per lui siamo tutti colpevoli di avere sopravvalutato uno dei giganti riconosciuti del nostro giornalismo.
Severgnini: “Montanelli è una gloria per Milano”
“Giù le mani da Montanelli”, scrive invece l’editorialista e saggista Severgnini. Il quale pur di tradizione culturale e giornalistica diversa da quella rappresentata da Montanelli, ne rispetta il valore. “Espellere la statua dai giardini milanesi che portano il suo nome – come chiedono gli ineffabili «Sentinelli» — non è soltanto sbagliato. Sarebbe assurdo, offensivo e controproducente”. Leggiamo sul Corriere: “Non lo scriviamo perché Indro Montanelli (1909-2001) è un vanto di Milano, la città che amava e per la quale ha versato — letteralmente — il sangue (l’attentato delle Brigate Rosse nel 1977, cui seguì il perdono degli attentatori). Non lo scriviamo perché Montanelli è una gloria del Corriere della Sera, dov’è tornato nel 1995, dopo aver fondato e diretto il Giornale per vent’anni. Non lo scriviamo perché Montanelli ha insegnato il mestiere a tanti di noi, e ci ha voluto bene”.
Prosegue Severgnini: “Lo scriviamo perché l’uomo e il professionista non meritano un affronto del genere; e non lo meritano Milano, l’Italia e gli italiani, già provati da mesi drammatici. Abbattere la statua di un dittatore può essere un gesto liberatorio; rimuovere la statua di un giornalista libero puzza di fanatismo”. Da applausi.
L’accusa mossa a Montanelli risale al 1935. “Per valutarla – è il monito dell’editorialista – occorre conoscere il contesto. Indro Montanelli — giovane fascista disincantato, speranzoso reporter — parte per il fronte africano. Ha appena compiuto ventisei anni. All’Asmara viene incorporato come comandante di compagnia nel XX Battaglione Eritreo, formato da ascari, mercenari locali. Una unità raccogliticcia e inefficiente, con compiti di retroguardia. Il sottotenente Montanelli scrive: «Abbiamo davanti un nemico che non fa che fuggire e una popolazione che non fa che applaudire. È una passeggiata, sia pure un po’ scomoda». L’avventura è raccontata in un libro, XX Battaglione Eritreo, che viene recensito in modo lusinghiero da Ugo Ojetti sul Corriere della Sera e apre a Montanelli le porte di via Solferino”.
“Non rimarrebbe in piedi una sola statua se…”
Prosegue l’articolo: “Appena arrivato in Africa, Montanelli aveva accettato di prendere come compagna un’adolescente abissina, secondo la tradizione locale. La ragazzina si chiamava Destà. «Per tutta la guerra, come tutte le mogli dei miei ascari, riuscì ogni quindici o venti giorni a raggiungermi ovunque mi trovassi, in quella terra senza strade né carte topografiche». Montanelli poi capì l’ingiustizia e l’anacronismo di quel legame; ma non negò, né rimosse, la vicenda. La giovanissima Destà andò poi in sposa a un attendente eritreo, e con lui fece tre figli: il primo lo chiamarono Indro. Abbattere, per questo, la statua di Montanelli? Sarebbe assurdo e offensivo”, scrive con grne onestà intellettuale Severgnini. “Quella vicenda — non esemplare, certo — non rappresenta l’uomo, il giornalista, le cose in cui ha creduto e per cui s’è battuto. Se un episodio isolato fosse sufficiente per squalificare una vita, non resterebbe in piedi una sola statua. Solo quelle dei santi, e neppure tutte”. Un intervento veramente da applausi.
Il “politicamente corretto” si mostra per quello che è: una stupidaggine che vuole cancellare tutto e tutti! All’estero, se la prendono con Cristoforo Colombo e perfino con Churchill: senza il primo, l’America sarebbe rimasta in mano ai vichinghi e oggi la chiameremmo in un altro modo! Senza il loro Primo Ministro, gli Inglesi sarebbero diventati un protettorato nazista.
Anche le pulci hanno la tosse!!!
Per quanto mi riguarda è òa sua esistenza, Lerner, la vera sopravvalutazione.
parla proprio lui che in tutte le trasmissioni televisive che ha diretto ha fatto flop di ascolti, neanche i suoli parenti l’hanno visto.
Il bue che dice cornuto all’asino
Severgnini ha detto – come al solito – una cosa saggia. Io non condivido più molto di Montanelli, ma ho letto da ragazzo i suoi articoli e la sua Storia, che trovavo molto ben fatti.