Radical chic, 50 anni fa il debutto dell’espressione che mette a nudo l’ipocrisia della sinistra
8 Giu 2020 15:56 - di Vittoria Belmonte
Radical chic, l’espressione ha mezzo secolo. E ha avuto larga fortuna. Come tutte le espressioni felici, è stata anche abusata e distorta. Resta in ogni caso felicemente in testa agli aggettivi che mettono a nudo l’ipocrisia di certa borghesia salottiera che ama civettare con la rivoluzione.
L’articolo di Tom Wolfe
E’ stato lo scrittore e giornalista americano Tom Wolfe a coniarla. Sul New York Magazine dell’8 giugno 1970 pubblicò un lunghissimo articolo intitolato “Radical Chic, That Party at Lenny’s”. Si trattava del resoconto del ricevimento che qualche mese prima Felicia Bernstein, moglie del compositore e direttore d’orchestra Leonard, aveva organizzato per raccogliere fondi a sostegno del gruppo marxista-leninista delle «Pantere nere». La festa si svolse a casa dei Bernstein, in un attico su Park Avenue.
L’Oxford Dictionary precisa: si tratta «dell’ostentazione», molto alla moda, di idee e visioni «radicali e di sinistra». In francese si usa gauche caviar. E’ la stessa sinistra che oggi si batte il petto nel nome di George Floyd, estendendo il disgusto per la violenza dei poliziotti americani contro i neri alla “supremazia bianca”. Se pensiamo al party di Felicia Bernstein, tutto si tiene.
In Italia si diffonde grazie a Montanelli
L’espressione in Italia fu ripresa da Indro Montanelli nel celebre articolo Lettera a Camilla del 1972, in forte polemica con la giornalista Camilla Cederna, quale ideale rappresentante dell’italico “magma radical-chic”, superficiale e incosciente culla degli anni di piombo.
In seguito, egli chiarì che la vera destinataria della lettera aperta era Giulia Maria Crespi, allora padrona del «Corriere della Sera» e amica della Cederna, con la quale i dissidi sarebbero sfociati, l’anno seguente, nell’allontanamento di Montanelli dal quotidiano di via Solferino, dove lavorava sin dal 1937. Ma Montanelli aveva già utilizzato l’espressione in altri articoli, nei quali denunciava la frivola ideologia sfoggiata da certa borghesia ricca e pseudo-intellettuale lombarda che invitava ai party sovversivi alla moda.
Cattabiani e Lo chic radicale
Il testo originario di Tom Wolfe, un articolo lunghissimo, divenne nel 1973 grazie ad Alfredo Cattabiani, direttore editoriale di Rusconi e protagonista del rilancio della cultura di destra in Italia negli anni 70, un libro intitolato Lo chic radicale, (traduzione di Floriana Bossi, Collana Problemi attuali, Milano, Rusconi, 1973). Un tipo umano mai scomparso, responsabile da ultimo dello slittamento della sinistra dal versante operaista a quello dei diritti delle minoranze. E dunque colpevole di avere stravolto le originarie pulsioni della sinistra anticapitalista, convogliandole verso un generico anelito al buonismo universale. L’inno, ovviamente, non può che essere Imagine di John Lennon.